Quando due estati fa andai a Venosa, città natale di Orazio, con mio marito, venimmo accolti all'inizio del corso principale da una coppia di cani senza collare, uno più grande, una specie di Retriever sbiancato, e uno più piccolo con le tipiche gambette corte del bastardino italico. Ci annusarono, ci salutarono con un cordiale dondolìo di coda, e ci accompagnarono per tutta la breve visita della cittadina, fermandoci quando ci fermavano, aspettandoci cortesemente fuori dei negozi. All'uscita dal centro storico, si congedarono, vorrei dire, con un sorriso, e tornarono indietro.
Randagi? Può darsi. Ma non i randagi resi paurosi e feroci dai calci e dai sassi, non quelli rinchiusi nei canili-lager di cui parlava ieri sul Giornale Enza Cusmai, bensì creature libere e serene, evidentemente rispettate, se non amate. Quei cani tipici di molti piccoli centri del nostro Meridione che sono di tutti e di nessuno, perché tutti li nutrono e nessuno fa loro del male. Sarebbero piaciuti a Danilo Mainardi, come gli piacciono i randagi di Ischia accuditi da tutta la comunità dell'isola, che l'etologo cita nel suo ultimo libro Il cane secondo me (Cairo editore). Esempio di un rapporto civile e paritario con l'animale che millenni fa strinse con l'uomo un patto di reciproca assistenza e che da allora a questo patto ha sempre serbato fede.
Non sempre è stato trattato con la stessa lealtà. Anche se - me lo confermò lo stesso Mainardi in un lontano colloquio nel silenzioso quartiere veneziano della Celestia - l'alleanza con l'uomo lo ha favorito come specie. Se infatti molte specie selvatiche sono minacciate di estinzione, quelle entrate in contatto con l'uomo (allevate per essere destinate a cibo o a lavoro) sono sopravvissute. Spesso però a prezzo di molte sofferenze.
Le sofferenze degli asini bastonati, dei fringuelli accecati, delle galline rinchiuse in gabbie grandi come un foglio A4, dei grandi felini mortificati nei circhi. Dei cani maltrattati, usati per feroci combattimenti, abbandonati sulle autostrade. Validissima perciò la proposta di Mainardi di includere i cani di proprietà nello stato di famiglia. Il cane condivide in tutto e per tutto la vita della famiglia, si accuccia ai piedi del letto del padrone malato, gioca con i suoi figli, abbaia per segnalare gli estranei, condivide il tetto e il cibo, ne capisce le sofferenze, si rallegra con lui. Dichiarare i cani all'anagrafe - sostiene ancora Mainardi - oltre a sancire una realtà di fatto, servirebbe anche a responsabilizzare i padroni, diminuendo il barbaro uso dell'abbandono, quando al momento di andare in ferie, per esempio, ci si accorge che il simpatico cucciolo è diventato un bestione che ha difficoltà a essere accettato in albergo.
Ma a questo proposito ci sono novità confortanti. Secondo dati diffusi il 7 gennaio dall'Associazione Aidaa tra l 1 giugno e il 30 settembre 2010 gli abbandoni degli animali (soprattutto cani) sono diminuiti del 22 per cento. Nello stesso periodo le segnalazioni di animali abbandonati su strade e autostrade italiane sono passate dalle 9.404 del 2009 alle 7.702 dello scorso anno: meno 18 per cento. «Da questi dati - dichiara Lorenzo Croce presidente nazionale dell'Aidaa - si evince che il fenomeno dellabbandono estivo è in forte regresso, mentre è ancora alto rispetto alle attese nei mesi primaverili e autunnali».
Si potrebbe migliorare ulteriormente la situazione se i sindaci italiani accettassero l'invito del ministro Michela Vittoria Brambilla a eliminare il divieto di ingresso a persone con cani nei locali pubblici. E anche ligiene migliorerebbe se si diffondesse liniziativa milanese della tessera sanitaria per gli animali.
Ma è dal libro di Danilo Mainardi che dovremmo tutti imparare a migliorare il nostro comportamento verso il cane.
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