Più una regione produce, più viene castigata. Con contributi più bassi e spese più alte. L'assessore lombardo alla Sanità, Luciano Bresciani, ha la pelle d'oca a sentire che ogni residente della Lombardia riceve cento euro in meno rispetto al Lazio per le medicine. «È follia pura - commenta -. Ci stiamo forse dimenticando che il Lazio è una delle Regioni più birichine? Ha il bilancio in rosso e il Governo la premia con il miele, punendo con la cicuta le regioni più evolute. La sinistra si comporta da guastatrice e porta a livelli più bassi le regioni più avanzate con dei trucchi».
Bresciani, a nome della Lombardia, chiede maggior equità nei finanziamenti sanitari. «Nell'assegnazione delle risorse bisogna tener conto di diversi fattori - spiega -: innanzitutto dei progetti che una regione porta avanti e dei risultati che è in grado di raggiungere. E poi della capacità di attrarre e offrire servizi ai non residenti».
In base ai dati dell'assessorato alla Sanità, emerge che il 10 per cento dei pazienti curati in Lombardia proviene dalle altre regioni italiane. «Questo vuol dire - aggiunge Bresciani - che non solo la quota pro-capite per ogni lombardo è più bassa ma che i lombardi si trovano sulle spalle anche le spese per i non residenti». Da qui la proposta di «diminuire i finanziamenti alle regioni che non sono in grado di attrarre pazienti».
Una via di salvezza per la Lombardia secondo Bresciani è l'Europa. «Attraverso alleanze con altre regioni italiane ed europee - spiega - potremmo realmente valorizzare il nostro sistema sanitario. La Lombardia non è una mucca che si può mungere all'infinito». L'esigenza di un federalismo sanitario si fa quindi sentire sempre di più. A suscitare la rabbia dei lombardi è anche il ticket. «Quello lombardo - spiega Bresciani - è una forma di compartecipazione alla spesa sanitaria regionale da parte dei cittadini. Quello di Roma a quanto pare serve per coprire gli enormi buchi finanziari delle altre regioni. Vedi il Lazio». Nella distribuzione delle risorse insomma «non possono più valere le regole di dieci anni fa e passa. Servono criteri nuovi che contribuiscano a riequilibrare le diseguaglianze e i trattamenti diversi tra una regione e un'altra».
Se non ci dovesse essere più equità, il rischio sarebbe quello «di una scissione del Paese». «Va bene il federalismo solidale, ma questo non si deve tradurre in un meridionalismo forzato. Servono progetti e risultati per decidere quanti finanziamenti dare e a chi darli».
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