Agrigento Ancora morte nel Canale di Sicilia. Settantacinque persone, la stragrande maggioranza eritrei, sarebbero morti di stenti durante la traversata, protrattasi ben 23 giorni, e i loro corpi abbandonati in mare. Lo hanno raccontato ai soccorritori, tre dei cinque eritrei, giunti ieri a Lampedusa dopo alcuni giorni alla deriva. Erano partiti nei giorni scorsi dalle coste libiche. Il loro gommone di 12 metri, era alla deriva perché il carburante si era esaurito e il motore si era rotto. Sono stati raccolti da una motovedetta della Guardia di finanza a 19 miglia da Lampedusa dopo essere stati avvistati da una pattuglia maltese. Due dei cinque sopravvissuti, un uomo e una donna, sono stati immediatamente ricoverati per le precarie condizioni di salute. La Guardia di finanza sta cercando riscontri a questo racconto che viene comunque ritenuto «compatibile» sia con lo stato di salute dei cinque superstiti, trovati in condizioni pietose e ormai allo stremo delle forze, sia con la capienza dell'imbarcazione. Gommoni di questa grandezza sono stati infatti utilizzati in passato dal racket degli immigrati per trasportare anche unottantina di persone.
«Sembrava un fantasma: il corpo era ridotto a uno scheletro, gli occhi persi nel vuoto. Mi ha ricordato Fatima, la ragazza somala che raccogliemmo da un barcone convinti che ormai fosse morta, un paio di anni fa». È il racconto di uno degli operatori umanitari che hanno assistito la donna eritrea sbarcata a Lampedusa con altri quattro connazionali, dopo essere sopravvissuta a una traversata durata una ventina di giorni. La magistratura agrigentina ha aperto un'inchiesta per capire come stanno realmente le cose.
La giornata di ieri, oltre che da questa nuova tragedia, è stata caratterizzata da altri due sbarchi per complessivi cinquanta persone. Tre sbarchi in poche ore non si registravano da molto tempo, soprattutto da quando è partita la missione Frontex, il pattugliamento congiunto del Mediterraneo.
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