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Casa di Montecarlo, la Finanza nella sede di An

La procura di Roma indaga sulla compravendita sospetta e chiede anche la rogatoria internazionale a Monaco. L'elenco dei beni della contessa Colleoni: quell'immobile non doveva finire ad An. Il nipote: "Il lascito serviva a una causa che non è stata perseguita". E Casini difende Fini

Casa di Montecarlo, la Finanza nella sede di An

Roma - Finanzieri in via della Scrofa, a caccia di documenti relativi al passaggio di proprietà dell’appartamento al numero 14 di boulevard Charlotte. I militari, inviati ieri dagli investigatori della Procura di Roma che indagano sulla svendita dell’immobile monegasco che An ereditò dalla nobildonna Anna Maria Colleoni, morta nel 1999, non avrebbero trovato granché negli uffici della sede di An e gli inquirenti hanno quindi disposto una rogatoria internazionale per chiarire il pasticcio del quartierino monegasco che ora risulta affittato a Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini, presidente della Camera. Il quale Fini ieri è stato laconico: «Ben vengano le indagini su tutto ciò che concerne il patrimonio di An, anche se la denuncia proviene da avversari politici».
Forse avversari ora, ma di sicuro compagni di partito all’epoca dei fatti. L’inchiesta - ancora contro ignoti ma non è detto che nei prossimi giorni qualche nome non finisca sul registro degli indagati - è stata infatti avviata dai magistrati di piazzale Clodio dopo la denuncia-querela presentata lo scorso 30 luglio «per l’eventuale ipotesi di reato di truffa aggravata» ai carabinieri di Monterotondo, alle porte di Roma, da Roberto Buonasorte, 46 anni, e Marco Di Andrea, 47 anni. Si tratta di due esponenti della Destra (il primo è consigliere regionale del Lazio, il secondo consigliere comunale di Monterotondo) già iscritti ad An e che come tali si ritengono danneggiati dagli «ignoti autori» della truffa che avrebbero «con artifizi indotto in errore tutti gli attuali partiti e/o movimenti politici, a vario titolo, aventi causa dal disciolto partito Alleanza nazionale, al fine di procurarsi o procurare ad altri un ingiusto profitto in danno dei partiti e/o movimenti politici anzidetti». Il tono è burocratico, la sostanza chiara: perché di proprietà che il partito aveva ereditato da una militante animata da una sincera fede politiche beneficiano parenti del leader del disciolto partito?
Nelle dieci pagine della denuncia Buonasorte e Di Andrea ricostruiscono tutta la vicenda rifacendosi prevalentemente agli articoli del nostro giornale, che hanno allegato alla denuncia assieme alla copia del testamento olografo della «fu Anna Maria Colleoni». I due parlano di «formidabile coincidenza per la quale il giovane fratello trentatreenne dell’attuale compagna dell’onorevole Gianfranco Fini sia risultato il conduttore da preferire (in termini di pagamento del canone locatizio) da parte della finanziaria Timara Ltd», la società off-shore a cui l’immobile è stato ceduto. Insistono sull’«inverosimile circostanza che quest’ultima società, a compagine anonima, abbia (presumibilmente) pagato somme superiori ai circa due milioni di euro che - stando alla cronaca - sarebbero stati già offerti al partito Alleanza nazionale dai proprietari degli appartamenti finitimi insistenti nel medesimo fabbricato». E definiscono «inverosimile» anche l’evasività di Donato Lamorte, capo della segreteria di Fini, e di Francesco Pontone, segretario amministrativo di An, in merito alla compravendita dell’immobile monegasco, di fronte alla necessità per «un’associazione (Alleanza nazionale) di rango costituzionale (articolo 49 della Costituzione) di rendere conto non solo alla pluralità degli iscritti delle attività patrimoniali da ascrivere regolarmente a bilancio, bensì alla pubblica opinione tutta». In un’intervista radiofonica ieri Di Andrea ha peraltro ricordato come nel 1991 presentò con Buonasorte la contessa Colleoni allo stesso Fini: «Al ristorante La Marini di Monterotondo facemmo una festa perché per la prima volta ottenemmo un consigliere comunale. Appartati in una stanzetta, la contessa disse a Fini che aveva intenzione di lasciare i beni ad An per la sua “buona battaglia”.

Io credo che gli eredi della contessa potrebbero impugnare questo testamento laddove si provasse che non è stata adempiuta la condizione indicata».

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