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La casbah del degrado: «Nella porta accanto complottavano gli aspiranti killer»

Nella casbah di via Gulli 1 l’unica a parlare italiano è Deborah, 33 anni e uno studio di massaggi al piano terra in questo stabile abbandonato da Dio e dagli uomini. Due piani sopra di lei, c’era il covo dei terroristi dove ieri mattina gli agenti della Digos hanno ritrovato quaranta chili di nitrato di ammonio e sostanze chimiche che, una volta miscelate, sono in grado di creare un effetto esplosivo micidiale. Era qui, all’interno di questo casermone pieno zeppo di stranieri, che Mohamed Game, il kamikaze libico aveva allestito il suo laboratorio per fabbricare ordigni rudimentali, come quello usato nell’attentato di lunedì mattina all’ingresso della caserma Santa Barbara. Ci veniva insieme ai suoi due complici il connazionale Israfel Imbaeya e un altro egiziano, Abdel Kol. I due ora sono finiti in manette e il locale al terzo piano è stato posto sotto sequestro.
Le indagini hanno accertato che l’ultimo acquisto di nitrato lo ha fatto proprio Game, una settimana fa. Ma sono le quantità di sostanze esplosive ritrovate nell’abitazione a destare preoccupazione su quelle che potevano essere le loro intenzioni, dal momento che, in base ad una prima ricostruzione, per l’attentato alla caserma Santa Barbara sono stati utilizzati solo un paio di chili di esplosivo. Le istruzioni invece, i manuali per l’uso, i terroristi li tenevano nelle cantine di via Civitali al 30, dove abitavano l’attentatore e il complice egiziano. Gli inquirenti ora stanno analizzando il materiale ritrovato che si ipotizza potesse essere usato per creare ordigni rudimentali.
Racconta Deborah di aver visto più volte il libico Israfel Mohamed Imbaeya, che viveva in via Gulli. «È uno che si è sempre fatto i fatti suoi, quando ci incrociavamo sulle scale, mi salutava. Era il più tranquillo di tutti». Lui, il complice del kamikaze e aspirante terrorista, figuriamoci gli altri. «Non l’avrebbe mai usato questo palazzo come obiettivo da colpire, semplicemente perché c’era lui».
Dagli scantinati e dai corridoi di questo stabile di otto piani esce un odore insopportabile di marcio e di degrado. I materassi buttati per terra e le scritte in arabo incise sui balconi che si affacciano sul cortile. Ma si può vivere in queste condizioni? «Siamo rimasti in otto persone regolari a versare l’affitto. Io, l’unica italiana e gli altri sette stranieri. Ma almeno sono persone che pagano». Mica come gli altri, che subito dopo l’ultimo blitz delle forze dell’ordine a dicembre dell’anno scorso, hanno subito rioccupato i locali.


Sui citofoni c’è un cartello con la scritta guasta. Per entrare bisogna chiamare un numero accanto all’ingresso, ma nessuno in realtà controlla, è un porto di mare. E la caserma Santa Barbara è proprio lì, a 500 metri di distanza.

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