Il casual elettorale del signor prefetto

Secondo gli esperti «si è adeguato a quello che potrebbe essere il suo ruolo»

Paola Benedini

Nessuno può dire che non sia così. L’ex prefetto di Milano, ora candidato alla poltrona più alta di Palazzo Marino, Bruno Ferrante, è un uomo elegante. Lo è sempre stato. Anche il portamento, perennemente impettito, è quasi da indossatore. Peccato per l’altezza, per il resto ci siamo eccome. Elegante nel vestire, elegante nei modi, elegante nelle scelte. Abita in una casa bellissima, nel cuore di Milano come il suo «saggio» Vittorio Gregotti (l’architetto che ha progettato lo Zen di Palermo ma non ci vivrebbe mai), beve il caffè da Taveggia, fa piccole passeggiate spesso da solo.
Ha insomma, in ogni gesto, un aplomb inglese, un atteggiamento nobile. «Un po’ troppo però», dice la pr Barbara Vitti. «È un po’ troppo stiff, cioè stretto, come se si tenesse tutto dentro, troppo pennellato. Sono sicura che dentro ha delle qualità fantastiche ma deve lasciarle uscire, lasciarsi andare, deve ammorbidirsi. Mi piacerebbe vestirlo con abiti meno stretti e fascianti: giacche senza spalle imbottite che non disegnino il corpo». Più casual allora? «Forse – continua Klaus Davi - forse un modo di vestirsi più casual andrebbe meglio. Lo trovo troppo anonimo: non è né elegante né grunge. Direi di abbandonare le giacche chiare per abiti scuri fumo di Londra che valorizzerebbero i capelli brizzolati. E poi tolga sempre gli occhiali scuri perché gli occhi sono la componente più forte della comunicazione».
Anche Bruno Ferrante comunque, ha virato, e non poco, nel suo modo di vestire. «È un Ferrante che non conosco questo – dice Beppe Modenese, arbiter elegantiarum - ma si nota in entrambi i candidati una sorta di democratizzazione dell’abbigliamento. Si sono adeguati a quello che loro considerano potrebbe essere il loro nuovo ruolo».
«Be’, sembrano marito e moglie – sostiene lo stilista Alberto Biani - stesso look ma manca il glamour a tutti e due. Più seriosa lei e con un vezzo di civetteria pacato lui. Rappresentando le istituzioni però, da un punto di vista estetico vanno bene così. Potrebbero osare qualcosa in più, un po’ più di leggerezza».
È abbastanza categorica nel suo giudizio Lella Curiel. «È stato prefetto, è un poliziotto. Non può certamente essere modaiolo. Non so se fa bene a vestirsi casual, non è nel suo dna, nella sua personalità. Veste sportivo ma non ha il look da capopopolo. Lo preferisco con un abito di sartoria». Il consiglio della stilista è quello di tornare in divisa, allora. «Un abito non è una divisa – precisa Carlo Andreacchio, genero di Mario Caraceni uno dei nomi più importanti della sartoria maschile -. Quelli di Ferrante sono di buona confezione, non credo vada in sartoria. Se posso permettermi qualche suggerimento, gli direi di essere più disinvolto, meno rigido. Tutto è troppo perfetto. Direi che potrebbe adottare un Principe di Galles tono su tono o un abito rigato a puntini.

Lo vedrei benissimo in doppio petto. Porta le giacche a tre bottoni molto chiuse in alto, le lascerei più aperte da cui sbuca più camicia e più cravatta. Camicie non solo bianche ma anche azzurre e cravatte a disegni più vivaci».

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