Cinzia Romani
da Roma
«Ho ancora un cinema a Hollywood» gongola Vittorio Cecchi Gori, rinato a nuova vita, dopo quattro anni di travagli giudiziari. Somiglia alla Marlene Dietrich che cantava «Ho ancora una valigia a Berlino», fremendo di nostalgia, intanto che i nazi lavevano spinta a emigrare negli Stati Uniti. Solo che ieri, sotto le volte di Palazzo Borghese, desolato dallassenza di Valeria Marini, eterna fidanzata trasferitasi trucchi e bagagli in albergo («La vita è così: il lavoro fa trascurare la vita di coppia, ma non dirò una parola a riguardo» esordisce Cecchi Gori). Poi, incalzato dai cronisti proprio sullo fortunato spot con la Marini, Cecchi Gori rivela: «Lho girato perché era stato offerto a Valeria, ma con la condizione che vi partecipassi anchio. E allora io mica potevo esimermi e far perdere a Valeria che so 200mila euro, o quanto ha preso. È ovvio però che il mio cameo muto lho fatto gratis».
Il produttore ha annunciato dessersi ripreso altro che una valigia. Piena di sogni, ovvio: tre Oscar portati a casa e oltre trecento film prodotti, di cinematografo Cecchi Gori ci campa. E ci campava tanto bene, che gli sono saltati addosso banche, magistrati e potentati economici concorrenti. Se è vero che chi va dallavvocato perde lultimo ducato è vero pure che i suoi legali, lavvocato Franchina in testa («È stata mia madre Valeria, a mandarmelo, da lassù»), hanno restituito allindebolita catena del cinema italiano un suo anello forte e molti ducati al loro assistito. «È tanto tempo che non ci vediamo», dice il producer, guardando allontanarsi il figlio tredicenne Marietto, carino e un po spaesato, tra flash e cameramen. «Mio padre Mario mi ha portato con sé dalletà di nove anni e ho conosciuto Ponti, la Loren, De Filippo: un patrimonio che, a ventanni, ti ritrovi». Latmosfera è insolita: pare strano che a scortare un uomo di cinema, sulla via del ritorno in pista, ci siano gli uomini togati. «Per quattro anni ho fatto la mia resistenza sul Piave, volendo rimanere a capo del più forte gruppo mediatico e cinematografico e non ho licenziato nessuno» spiega Vittorione.
«Questa è la rivincita della vittima: il mio gruppo torna sul mercato, con tutti i suoi asset (i beni, ndr). La mia vita, prima di tutto, è il cinema e dalla mia ripresa discenderà la ripresa del cinema italiano». Sulla vendita allasta delle sale targate Cecchi Gori, prima fra tutte lAdriano di Roma, è tornato il sereno. «Lasta non era necessaria: è stata rimandata di otto mesi e concluderemo accordi favorevoli al gruppo spiega il produttore, specificando: «Il circuito delle sale rimarrà sotto il mio controllo. Dal 1952 la mia vita si è svolta a Roma e dedico il recupero delle mie sale cinematografiche alla città e al suo sindaco Walter Veltroni».
Che cosa ne è della cosiddetta library, cioè linsieme delle pellicole possedute da un gruppo economico? Recuperata anche quella, dopo un contenzioso con la Seat. Comè andata a finire con la Fiorentina, la squadra di calcio retrocessa proprio per i guai finanziari di cui sopra? «Era lunica squadra che aveva seguito le regole, ma ci son finito in prigione, con un avviso di garanzia, poi archiviato. Mi auguro che il governo raddrizzi questo sistema. Anche se nella magistratura ci sono mele marce, non bisogna criminalizzare le istituzioni».
Monta la marea dei termini legali, saffollano i brutti ricordi, ma è arrivato il momento di parlare dei progetti di cinema. Accantonata lidea di un film sui magistrati, da affidarsi a Pasquale Squitieri («Alla fine ne sarebbe venuto fuori un film tivù»), Cecchi Gori punta a produrre «film italiani che vadano nel mondo, come Mediterraneo e Il postino. Anche perché tutti, tranne noi, bravi nel doppiaggio, guardano film con sottotitoli. Presto produrrò in Cile, paese poco noto, una storia tratta dal romanzo di Skarmeta Il ballo della vittoria, intriso della cultura latina del Pacifico. Penso a un Million Dollar Baby, storia piccola con dentro una grande universalità.
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