Come si possono raccontare cento anni? Cento anni fanno un secolo, c’è tanto dentro, roba grossa, cronaca, storia, racconti, emozioni, scandali, trionfi, fallimenti, morti, tragedie. Lo sport è questo, lo sport è una fetta grande della vita nostra anche se qualcuno finge di non saperlo e di non accorgersene.
Il Guerino ce l’ha fatta, da sempre, dal millenovecentododici e per questo i suoi cento anni, oggi, fanno un secolo bello, con le rughe e le righe di un tempo che sembra lontano, un tempo che fugge ma ritorna, splendidamente, nelle pagine di questo foglio che tale era, alla nascita e negli anni della maturità, prima di diventare rotocalco, rivista, periodico, mensile per la fatica, la passione, l’amore eroico di Matteo Marani che lo cucina, lo confeziona, lo coccola e quasi lo porta in edicola, un uomo solo al comando con l’aiuto affettuoso di qualche nostalgico romantico tra i colleghi, Beccantini e Mura, per dire dei polpastrelli d’oro della macchina per scrivere.
Questo accade ai giorni nostri ma, per l’appunto, ai naviganti e navigatori di wikipedia e affinità varie, segnalo che il Guerin Sportivo, detto verdolino da alcuni ma guerino e basta da molti, era il compagno clandestino di una generazione venuta su con le figurine, il calciobalilla, il jukebox e il pallone marrone di cuoio che sembrava legno.
Era il giornale da tenere nascosto sotto il banco di scuola, per sbirciarlo, magari esibirlo da guasconi o cagoni, durante l’intervallo, era grande così, come una finestra, aveva dentro le cose più pazze del mondo del football innanzitutto e dello sport poi, ho usato l’aggettivo a proposito perché la rubrica di Gianni Brera, che ne fu anche direttore, portava il titolo di Arcimatto, dunque non semplicemente folle ma di più, «arci», c’erano le pagelle, dissacranti, ironiche, una sentenza inappellabile, in totale: una scatola di pensieri e parole, sparsi ma uniti dal mastice della cultura e dalla frequentazione della lingua madre, virtù sempre più rara negli anni e nei cronisti a venire.
Era, allora, il foglio dell’università del giornalismo, perché con Brera c’era Bianciardi e ci potevi trovare Montanelli e altri illustri e, in fabbrica, lavoravano i ragazzi che sognavano di fare questo mestiere sempre bellissimo, erano i Garioni e i Bertarelli, riverenti dinanzi ai docenti, in quel luna park che il Guerino rappresentava per noi amanti del gioco del calcio e dei giochi di parole. Alle spalle di tutto e di tutti si muoveva e sussurrava il grande vecchio che portava il nome di Alberto Rognoni, il Conte, l’uomo che creò il Cesena, l’uomo che inventò l’ufficio inchieste, il nobile fedele al fascio che, seduto all’ultimo banco della classe sfornava le battute e le idee migliori che poi altri sviluppavano.
C’era la scrittura, c’era il disegno di Marino, c’erano Nick and Soda che erano Carosio e Rocco, spesso barcollanti in un tino d’uva pronta a essere pigiata ma già con il fiasco mezzo vuoto o mezzo pieno in mano, simboli unici entrambi, Nick and Soda, Nicolò e Nereo, la voce del football e il cervello del calcio, pronti a scherzare, a deridere, a graffiare nella loro ebbrezza alcolica. Senza che mai, dico mai, a uno dei due fosse venuto in mente di protestare, di reagire con rabbia, perché l’ironia, non l’insulto, era la virtù, insieme con l’intelligenza critica.
Dunque il foglio galeotto era un simbolo di diversità per un manipolo di lettori rispetto all’esercito che si tuffava nei resoconti nella rosea Gazzetta, nel Corriere dello Sport biancorosso, in Stadio che aveva il verde nella testata e nel Tuttosport con il suo colore mattone a dipingere le lettere ballerine dell’insegna. Era il Guerino, unico, intellettuale ma non bolso e accademico, arrivava dopo gli altri ma prima di tutti, appuntamento imperdibile per chi aveva voglia di approfondire con quel pizzico di vanagloria e di narcisismo tipici dei talentuosi, con Tosatti, Facchinetti, Grassia.
Vennero poi le televisioni, metà di mille, vennero le tecnologie, internet, telefonini, ipad, blog, una nebbia di notizie senza approfondimento e identità, vennero crisi, tagli, licenziamenti, sacrifici, sangue, sudore e lacrime.
Il Guerino ha cambiato pelle, faccia, postura, colore e colori ma i suoi direttori, da Cucci a Bartoletti, da Zazzaroni a Bortolotti a Marani, per citarne alcuni, hanno tenuto duro, figli della loro terra di Romagna, dolce e sanguigna, dotta e perfida, resistendo al logorio del giornalismo moderno che altrove ha fatto vittime illustri.
Il Guerino oggi è diventato una sigla, GS, ma quella voce sincopata non è affatto spenta. Cerca di reagire, di alzare la testa, di lanciare la stilografica, velenosa, appuntita, come il Guerino sa dal millenovecentododici.
Cento anni formano un album che nessun fantacalcio potrebbe immaginare e allestire, perché il secolo del Guerin Sportivo è il tempo lungo, e breve assieme, di tre generazioni che non hanno età ma hanno memoria, cultura, rispetto della tradizione. In fondo, a pensarci bene, è il nostro compleanno mentre attorno ronzano voci fastidiose.
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