
Già, ma che cos'è, poi, l'anima? Esiste davvero? Si dice che il tal calciatore è l'anima della sua squadra, o che un certo musicista è l'anima della sua band. Da piccolo andavo pazzo per i cartoni animati perché si muovevano, però il prete diceva che gli animali non hanno l'anima, anche se si muovono e hanno questo nome, che dice l'opposto. Ma queste sono tutte metafore, e se l'anima è solo una metafora allora che se ne vada al diavolo. Eppure devo parlarne, perché Giacomino Poretti, quello del trio, ha appena pubblicato un libro dal titolo La fregatura di avere un'anima (Baldini+Castoldi) e anche a lui, come a me, la domanda brucia. Diciamo allora che la mia non sarà una recensione, sarebbe disonesto dato che Giacomino e io siamo amici da almeno quindici anni. Non solo, ma da otto anni lavoriamo insieme - due uomini che appartengono a mondi del tutto differenti, due destinati a non incrociare mai le loro strade. Invece le abbiamo volute incrociare fino a fondare un teatro: lui, il sottoscritto, e un terzo che dirigeva musei. Tre biografie distanti, quasi incompatibili, che per qualche strano motivo - in parte logico e in parte imperscrutabile - hanno trovato bello lavorare insieme.
È stata l'anima a metterci insieme? Forse. Ma noi, tutti e tre, siamo certi che la vera anima della nostra unione siano in realtà le nostre mogli. Personalmente ne sono certo, tante volte mi rivolgo a mia moglie chiamandola anima, come faceva mio nonno con me. Giacomino, scherzando (non sull'anima, ma su sé stesso) si chiede a un certo punto se l'anima non si possa per caso individuare mediante una tac, o una risonanza magnetica. È dentro di me? E dove? Oppure è fuori, da qualche parte nel mondo? Siede qui vicino a me o se ne sta in Nuova Zelanda? Sempre scherzando Giacomino si domanda se, poi, abbiamo davvero bisogno di un'anima. Abbiamo un account, un username, un nickname, e naturalmente una password a tutela della nostra privacy. L'anima è forse qualcosa che riguarda la privacy? È un'ipotesi. Potrebbe essere quella cosa che ritroviamo una volta tornati a casa dopo una giornata difficile, oppure durante una passeggiata solitaria in un bosco, respirando l'aria profumata di resina, o mentre in riva al mare leggiamo un bel romanzo alimentandoci con le emozioni che ci comunica. È un'ipotesi. Ma è un'ipotesi accettabile? Sulle prime verrebbe da dire di sì, ma poi, ripensandoci, ecco i primi dubbi. Mentre camminiamo in un bosco, o leggiamo un libro davanti al tramonto sul mare noi sperimentiamo un momento di pace, di relax, che ci fa dire pressappoco così: "Io sono qualcosa di più del mio lavoro in banca, delle mie ore davanti a una classe di somari, di questa mia azienda sempre alle prese con problemi di bilancio. C'è in me qualcosa che è più grande di tutto questo". Che sia l'anima?
Fin qui tutto bene. Ma poi, se siamo umani, un'altra domanda si impone: "Ma se è così, allora vuol dire che l'anima è una faccenda per il tempo libero? Che, nonostante tutta questa spiritualità che mi invade ascoltando il battito del picchio o il canto dell'usignolo mi è sostanzialmente inutile per l'affronto delle mie dure, meschine giornate? L'anima è dunque questa cosa magnifica, che però non serve a niente? È un ricciolo, una capriola del pensiero? Oppure - come ha detto qualcuno - una protuberanza del tutto immaginaria, creata dal potere (padroni, governanti, preti) per esercitare un controllo sulle nostre povere vite, con il miraggio di un premio definitivo, o di una definitiva dannazione? Se fosse tutto qui, l'anima può essere messa in cantina in un tempo in cui i big data sono pieni di informazioni su di noi: sanno quando ci alziamo, chi sono e cosa fanno i nostri figli, se preferiamo la pasta o il riso, qual è la nostra squadra del cuore, se frequentiamo le pizzerie, la Rinascente, il dentista; sanno probabilmente un sacco di cose su di noi, di cui non ci ricordiamo nemmeno, così che quando ce le rivediamo sullo schermo dello smartphone restiamo stupefatti. Apperò! Ma posto che l'anima (in tutte le sue versioni, quella antica e quella digitale) sia una creazione del potere, questa creazione non si fonda sul nulla: si fonda sul nostro bisogno di qualcosa che sia definitivo. Che ci definisca, dunque, e che sia per sempre, l'ultima parola, punto fermo. In una vita che è tutta provvisoria noi desideriamo cose che nemmeno riusciamo a pensare. Proviamoci: riusciamo a pensare qualcosa che sia ultimo? Riusciamo a pensare il sempre? Fatica inutile: riusciremmo a partorire solo discorsi e ancora discorsi.
Definitivo, eterno: sono parole che riguardano un'esigenza della quale nemmeno noi sappiamo darci una ragione. E che non riguarda solo me, te, lui o lei: riguarda tutto. Personalmente, non vorrei affatto essere immortale se in ogni caso dovessi assistere alla fine dei miei figli, della mia città, del mio Paese: questo bisogno riguarda me e, con me, tutto. Figuriamoci: tremo anche solo all'idea di sopravvivere a mia moglie. E se mi affaccio alla finestra e vedo un bambino passare, bene: anche per lui vale la stessa cosa, se l'eternità non è per lui non può esserlo per me, punto e basta. Io non desidero il siero dell'immortalità, non desidero un trono su cui sedere per sempre, come sembra vogliano fare Trump e Putin. È stato proprio uno come loro, Marco Aurelio, a segnalare il vuoto di questi pensieri.
Diciamo allora che l'anima è un incomodo, una specie di inciampo, oppure un promemoria che ci imbarazza e ci fa allentare il nodo della cravatta proprio quando tutto è così a posto, così perfetto che ci prende un certo disagio. L'idea di chiudere la nostra vita in un continuo crescendo di successi e infine di morire amati e ammirati da tutto il mondo fa un po' ridere. Ci svegliamo di notte ed ecco lì il nostro fallimento, lo vediamo in faccia. Poi, la mattina dopo, non ci pensiamo più. È così che faccio io ed è così che fanno in tanti. E poi, di nuovo, la notte...
Chi di noi è felice? Nessuno. Nemmeno sappiamo cosa sia la felicità. Al più, una voce in noi suggerisce che essere felici senza che lo sia tutto il mondo è impossibile. Tommaso d'Aquino definisce l'anima così: "L'anima è, in qualche modo, tutto (Anima est quodammodo omnia)". Noi non sappiamo cosa sia, però sentiamo che questa frase è giusta: se esiste (ammesso che esista), l'anima è questo legame che ciascuno di noi ha con il resto dell'universo. Io non so se noi umani siamo soli nell'universo o se esistano gli extraterrestri: non lo so e non m'interessa molto. Quando guardo il cielo stellato non provo nessuna solitudine, ma solo una commozione fino alle lacrime. Io sono io, ma sono anche quella minuscola stella lassù. E così, consigliandovi di leggere il libro di Giacomino, che sul tema dice queste e altre cose meglio di me, vi lascio con una breve citazione di G. W. Leibniz, il quale sostiene che le nostre percezioni (il rumore del mare, qualcosa che cade, una porta che sbatte) devono essere sostenute da altre percezioni di cui non ci accorgiamo. Se un quintale di grano precipita dal quinto piano noi lo sentiamo, mentre se cadesse un solo chicco non sentiremmo niente: eppure quel frastuono è il prodotto della somma dei chicchi. Perciò sì: noi sentiamo il frastuono perché in qualche modo (quodammodo) sentiamo ogni singolo chicco. E conclude così: "Queste piccole percezioni (...) sono più efficaci di quanto si pensi.
Esse formano quel non so che, quei gusti, quelle immagini delle qualità dei sensi, chiare nel loro insieme ma confuse nelle parti, quelle impressioni che i corpi esterni fanno su di noi e che racchiudono l'infinito, quei legami che ciascun essere ha con tutto il resto dell'universo". Ecco, forse l'anima è questa cosa. E ha ragione Giacomino: è una fregatura, perché senza questo inciampo probabilmente la vita sarebbe più triste e più facile.Be', meglio così.