Mario Sechi
da Roma
Il viaggio in Italia di Carlo Azeglio Ciampi è giunto allultima tappa. Oggi a Foggia il presidente della Repubblica non mancherà di esternare e, qualsiasi cosa dica, non mancheranno le interpretazioni sul significato politico delle sue parole. In campagna elettorale è un fenomeno fisiologico, ma diventa patologico nel momento in cui lopposizione usa i discorsi del Quirinale come una clava contro la maggioranza e dal Colle giungono messaggi «irrituali» che si prestano a varie interpretazioni non sempre azzeccate. È il caso della lettera alla commissione di Vigilanza Rai, indirizzata dal Quirinale al presidente della commissione e non al presidente della Camera o del Senato. È lultimo casus belli che ha dato fiato alle trombe del centrosinistra e consentito a qualche suo esponente di parlare irresponsabilmente di «campagna elettorale fuorilegge». Lorologio costituzionale scorre sempre più velocemente e già in passato Il Giornale aveva scritto che la coincidenza delle elezioni parlamentari e la quasi parallela scadenza di Ciampi avrebbero creato un ingorgo politico e un potenziale conflitto in campagna elettorale.
Chi vede uno scontro al fulmicotone con il Quirinale ovviamente esagera, ma è vero che le sortite di Ciampi negli ultimi trenta giorni hanno prodotto una serie di osservazioni e critiche che poi si sono tradotte in appunti e minute per i protagonisti del confronto istituzionale: il Quirinale, il governo e i presidenti delle Camere.
Quando Ciampi ha rinviato la legge sullinappellabilità non si è potuto fare a meno di scrivere che le motivazioni del presidente della Repubblica erano «di merito» e le ragioni di quel rinvio erano fuori dal perimetro dei poteri del Quirinale. Tanto che lUnione camere penali, solitamente prudente, abbandonava la cortesia istituzionale e invocava per il Parlamento «un'impennata di orgoglio, confermando la legge così comè sui punti essenziali e limitandosi a ritocchi del tutto marginali su altri». Un dissidio che ieri è stato reso chiaro alla Camera quando un uomo mite e pacato come Gian Franco Anedda ha sentito il dovere di dire in aula che «il presidente della Repubblica nel sollevare i rilievi al testo della legge sull'inappellabilità è nel pieno dei suoi poteri costituzionali. Ma, se si tratta di fare valutazioni su opinioni legittime ma opinabili, intendo esprimere il mio dissenso». Dissenso. Parola che riferita alle scelte del presidente Ciampi è sempre stata rarissima, ma che nel tramonto di questa legislatura echeggia a Montecitorio con insistenza.
Il braccio di ferro sullo scioglimento delle Camere e sulla data delle elezioni è finito con una serie di osservazioni e appunti in una cartelletta del presidente del Senato Marcello Pera che durante lincontro con Ciampi ha squadernato le ragioni costituzionali, politiche e storiche del governo Berlusconi che chiedeva non «i tempi supplementari» ma che la partita andasse avanti «fino al novantesimo». Pera ha avuto gioco facile nel mostrare a Ciampi la bontà delle motivazioni del governo e lo stesso presidente della Repubblica ha accolto la mediazione con Berlusconi. Ma qualche ora dopo, con il comunicato che definiva «irrinunciabile» la data delle elezioni per il 9 aprile, il Colle ribadiva puntigliosamente una prerogativa - la scelta della data delle elezioni - che non è del capo dello Stato ma del governo.
Nessuno in quel momento ha fatto osservazioni sulla sortita ciampiana, eppure quella parola, «irrinunciabile», era la spia rossa della temperatura che stava di nuovo salendo nel motore del Quirinale. Lattivismo presidenziale si è poi tradotto nella lettera indirizzata a Paolo Gentiloni che ha innescato un «dibattito motorizzato» sulla par condicio in commissione di Vigilanza e allAuthority per le Comunicazioni.
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