Cinesi in fila per un pasto caldo «Sono i nuovi poveri di Milano»

In epoca di globalizzazione, anche la popolazione dei senzatetto milanesi è diventata multietnica. E negli ultimi tempi parla sempre più spesso il cinese. I magazzini abbandonati di via Paolo Sarpi e dintorni, la Chinatown meneghina, sono diventati l’alloggio di fortuna di migliaia di immigrati, regolari e non. Così, da quando sono iniziati gli sgomberi delle forze dell’ordine, tutte queste persone si sono ritrovate in strada e si sono rivolte in cerca d’aiuto alle strutture d’accoglienza meneghine. Prima fra tutte quella gestita dai Carmelitani Scalzi di via Canova, che quotidianamente offrono un pasto caldo non lontano da via Sarpi.
«Fino a pochi mesi fa i cinesi che si rivolgevano a noi per sfamarsi erano pochissimi - racconta Padre Giulio Pozzi, uno dei religiosi che operano in via Canova -. Adesso, di botto, ne abbiamo 70 su un totale di 200 avventori tesserati. C’è stato un momento iniziale in cui erano molti di più e la loro presenza aveva fatto alzare il numero degli utenti a 300». A fronte di questa crescita improvvisa, i Carmelitani si sono visti costretti a porre dei limiti all’«invasione orientale»: la priorità è stata data a coloro i quali erano in grado di fornire dei documenti che ne permettessero l’identificazione. Il provvedimento ha comportato un’immediata riduzione delle richieste: da 300 si è arrivati agli attuali 70.
Di tutti gli altri si sono perse le tracce. Sono scomparsi così com’erano arrivati ed è quasi impossibile avere qualche informazione dai loro connazionali a causa dei problemi di comunicazione. La maggior parte di questi nuovi senzatetto, infatti, non conoscono né l’italiano né l’inglese e, a dispetto dei luoghi comuni occidentali secondo i quali i cinesi si assomigliano tutti, sono molto diversi da chi ormai si è stabilito ed integrato a Milano.
«A differenza dei residenti di Paolo Sarpi, che provengono dalla Cina del Sud e hanno una forte vocazione imprenditoriale, questi arrivano dal settentrione e dal nord est e sono per lo più operai generici - sottolinea Daniele Cologna, sinologo dell’associazione milanese Codici -. Sono arrivati in Italia con un visto turistico, quindi da regolari, ma ci sono rimasti da clandestini quando il visto è scaduto». Hanno poi trovato degli alloggi a basso costo (di solito si va dai 5 agli 8 euro) presso la comunità cinese di Milano che rappresenta il loro unico tramite per trovare una sistemazione decente e un lavoro.
Una volta sgomberati, sono rimasti completamente abbandonati a loro stessi per le strade della città, che non è del tutto pronta ad accoglierli, come risulta evidente dalle parole di Padre Clemente Moriggi, che guida la Fondazione Fratelli di San Francesco di via Saponaro: «È un fenomeno nuovo - conferma -.

Prima non si vedevano cinesi, adesso qui ne abbiamo venticinque che vengono a mangiare e quindici che si fermano a dormire. Noi diamo loro una mensa, una doccia, un ambulatorio e un letto. Ma per il resto non possiamo proteggerli».

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