Piazza affari, le aziende su cui puntare? Quelle sostenibili

Investire in imprese che promuovono e adottano pratiche ESG si sta dimostrando una scelta vincente sul lungo periodo. Ma attenzione al green washing

Piazza affari, le aziende su cui puntare? Quelle sostenibili

Lungi dall’essere uno scenario ipotetico o con cui confrontarsi in futuro più o meno prossimo, i cambiamenti climatici, con le loro ricadute, anche sociali, sono qui ed ora, ponendoci di fronte a una realtà con cui imparare a convivere e cui, possibilmente, cercare di porre riparo con azioni e condotte più responsabili. Se n’è accorto anche il mondo della finanza, sempre più attento alle tematiche ESG (acronimo inglese che sta per ambientale, sociale e di governance aziendale), che si traducono in politiche e soluzioni di investimento tese a privilegiare soggetti realmente impegnati in condotte più virtuose in fatto di impatto sociale e ambientale.

Un futuro promettente

Il perseguimento, congiuntamente alla crescita economica, della riduzione dell’impatto sull’ambiente, oltre che del benessere di persone e società nel loro complesso, è la modalità attraverso cui le aziende possono garantire il proprio essere sostenibili, ripensando il modo di operare a favore di un rinnovato percorso di sviluppo. Con risultati più che significativi. A confermarlo anche un recente studio PwC, secondo cui, gli asset che adottano principi ESG raggiungeranno entro il 2026 i 34mila miliardi di dollari e saranno decisivi e determinanti per il successo della transizione energetica e per un futuro del pianeta più sostenibile.

Del resto gli stessi organismi internazionali si stanno muovendo su questo fronte: le linee guida sui rischi climatici e ambientali emanate da BCE nel 2020 e, successivamente, da Autorità Bancaria Europea (EBA) e Banca d’Italia, hanno posto in rilievo il tema della Governance e quello degli ESG nel loro complesso, all’interno dei framework di Risk Management degli intermediari finanziari. I tempi di recepimento e attuazione di tali linee guida si fanno peraltro sempre più stretti, richiamando l’attenzione di autorità, istituti bancari e intermediari su queste tematiche.

Se da una parte è in decisa crescita il numero di imprese che scelgono modelli di finanza che integrino criteri ESG all’interno del loro processo di sviluppo, dall’altra è sempre più diffusa fra gli investitori l’idea che propendere per tali modelli sia una scelta necessaria per una strategia efficace di medio/lungo periodo. Ecco dunque farsi largo l’opportunità di investire ed emettere prodotti i cui proventi siano destinati al finanziamento di progetti economicamente sostenibili, i cosiddetti Green, Social e Sustainable Bonds. Ma si stanno anche diffondendo Etf (Exchange-traded fund), cioè fondi e gestioni patrimoniali che diversificano il rischio in più strumenti finanziari e puntano a conseguire obiettivi virtuosi di impatto sociale e ambientale.

Investire sul lungo termine

Indubbiamente, in questa fase i fondi ESG presentano ancora performance meno importanti rispetto ai comparti tradizionali, nello specifico a quelli del settore dell’energia (oil&gas), il migliore dell’indice delle Borse mondiali nel 2022, con un guadagno del 34%, mentre tecnologia, industria e healthcare, “core business” dei fondi sostenibili, hanno perso, rispettivamente, il 32%, il 13% e l’8%.

Il dato positivo però è che, sul lungo periodo, i fondi sostenibili fanno meglio. Nella prospettiva di tre/cinque anni, le performance medie degli Etf azionari Globali ESG sono risultate superiori rispettivamente di circa tre e undici punti, pur partendo da dati per nulla positivi, relativi al 2022. Confrontando alcune categorie, fra azionarie e obbligazionarie, gli analisti di Morningstar hanno inoltre riscontrato che i fondi ESG hanno prevalso sui quelli “classici” con percentuali in positivo che spaziano dal 55% del 2021 al 67% raggiunto nel 2018.

L’ambiente al centro

Al momento il fattore Environmental è decisamente al centro dell’attenzione, così come quelli Social e Governance, pur se con uno sviluppo meno marcato degli altri due rispetto al primo. Indice comunque di una maggiore responsabilizzazione da parte della finanza nell’indirizzare risorse in tale direzione, sempre comunque nell’ambito di un’economia “capitalistica”, e nel rendere più “compatibile” il concetto di profitto con le dinamiche ambientali e sociali, ormai imprescindibili.

Una fase di cambiamento, che vede le tematiche ESG sempre più centrali nelle politiche aziendali e nelle operazioni finanziarie, non senza qualche “insidia”: dietro l’angolo c’è infatti il rischio di green washing, cioè di prodotti finanziari (e non) che si presentano come ESG, ma che di green hanno ben poco. Non essendo disponibili al momento informazioni o dati specifici in grado di avallare quanto dichiarato dalle aziende, che potrebbero anche esibire dati non certificati da organismi accreditati, le informazioni sul rispetto degli standard ESG rischiano di essere generiche (quando non veritiere), generando confusione nei consumatori e, di conseguenza, sfiducia in chi investe.

Un aspetto importante in questo contesto riguarda la disclosure (quindi la divulgazione di tali tematiche) e la possibilità di attribuire dei rating a determinati prodotti.

Aspetto, questo, cui l’Unione Europea sta dedicando un’attenzione particolare, al punto di aver emanato la proposta di regolamento sui rating ESG, con l’intento di capire se effettivamente determinate valutazioni siano in linea con i principi etici dichiarati dalle aziende, oppure no.

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