Giampiero Mughini è uno dei giornalisti più colti e intelligenti in circolazione. I suoi libri, a differenza di quelli di molti colleghi, sono felicemente divulgativi in quanto fondati sull'alta cultura. D'altronde, senza una cultura letteraria di altissimo livello, non si mette assieme una collezione come quella di Mughini. Il catalogo delle preziose edizioni in possesso del giornalista è stato pubblicato di recente dalla Libreria antiquaria Pontremoli col titolo di Novecento (presentazione il 24 novembre a Milano, presso la sede della libreria). La collezione va in vendita ma non è per questo che ne scriviamo. Novecento è più istruttivo di alcune antologie scolastiche e di alcune edizioni critiche. La descrizione dei volumi, a cura di Raffaella Colombo, è inappuntabile dal punto di vista filologico; e l'insieme dei libri è una guida per i lettori in cerca di avventure capaci di cambiare la vita. Come è successo a Mughini: "Col vendere questa mia collezione è come se mi fossi strappato la pelle viva". Diamo uno sguardo d'assieme prima di citare qualche titolo. La collezione accorda una predilezione alla prima metà del secolo. Sfogliando le pagine del catalogo ci accorgiamo facilmente della incredibile ricchezza di quel periodo in cui fiorirono le avanguardie, riviste eccezionali e anche autori fuori da ogni schema e da ogni regola. Nella seconda metà del secolo, Mughini sceglie solo il meglio.
Partiamo dal Sacro Graal del collezionismo italiano: i Canti orfici (1914) di Dino Campana completi di frontespizio e dedicatoria al Kaiser, strappata in molti esemplari dall'autore stesso allo scoppio della guerra. Questo libro inclassificabile, imparagonabile a qualunque altro del suo tempo, ha avuto una storia drammatica. Basterà dire che Ardengo Soffici perse il manoscritto originale. Fu tirato in poche copie a spese dell'autore. Molte furono bruciate dai soldati inglesi di stanza a Marradi, paese di Campana. Avevano freddo e fecero un bel rogo. Se avete undicimila euro è un buon investimento.
Abbiamo parlato di un "pezzo" molto famoso. Ma il talento del collezionista e del buon intenditore si vede dai dettagli. Ad esempio, dalle due raccolte (Liriche e Arioso) di Arturo Onofri, poeta in aria di riscoperta. Giustamente, visto che attorno al suo salotto romano girava un ambiente composito e importante, da un certo momento in avanti anche in aria di esoterismo. Lo frequentava Filippo De Pisis, altro cavallo di battaglia di Mughini e altro autore da rivalutare in pieno. De Pisis è uno dei più grandi pittori del Novecento. Ma anche uno dei più originali scrittori. Non si può citare De Pisis senza ricordare Giovanni Comisso (un altro autore su cui si sono riaccesi i riflettori). Andiamo a vedere il catalogo. Ed ecco la prima edizione del capolavoro Il porto dell'amore (1924) con dedica autografa: il miglior resoconto dell'impresa fiumana, uno splendido tributo alla giovinezza e all'avventura. Per millesettecento euro è un affare.
Per motivi di gusti personali, chi scrive si è concentrato sul suo autore feticcio: l'amatissimo Antonio Delfini. Il più grande degli scrittori semi-sconosciuti. L'anti-Petrarca modenese è il massimo. Ha scritto poesie (d'odio) graffianti, un Diario che è la migliore testimonianza della furbizia degli intellettuali sempre dalla parte del potere, racconti di satira, racconti ispirati al surrealismo, un fantastico Manifesto per un partito conservatore e comunista, collages, riviste di un solo numero... E ci fermiamo. Mughini ha tutto e più di tutto, incluso l'introvabile Marantogide (quattro esemplari esistenti; secondo Mughini solo due) autoedizione con 15 poesie e 165 pitture di Gino Marotta. Qui si va sul molto costoso: venticinquemila euro.
Quando Curzio Malaparte era ancora più noto in Francia che in Italia, dove è stato rimosso fino alla pionieristica biografia di Giordano Bruno Guerri, Mughini lo stava già collezionando. Il "pezzo" strepitoso è la prima edizione (Varsavia, 1920) della Rivolta dei santi maledetti, ancora firmata Curt Erich Suchert (Malaparte è uno pseudonimo). Fu lanciato da Malaparte sulla rivista Oceanica. Si sottolineava il grande interesse suscitato all'estero. Tipica mossa spregiudicata alla Malaparte, le pagine erano ancora inedite... La tesi, scandalosa, era che Caporetto fosse stato un giusto segno di insubordinazione della truppa contro generali incapaci. Le copie col titolo Viva Caporetto! furono sequestrate per ordine di Giovanni Giolitti. Nell'aprile del 1921, il libro tornò in vendita con il titolo attuale, più prudente.
Da infarto anche la sezione dedicata a un altro irregolarissimo delle patrie lettere: Aldo Palazzeschi. Ci sono I cavalli bianchi, prima edizione rarissima. Ne furono stampati solo cento esemplari. Se avete diecimila euro potete portarvi a casa l'opera prima di quel poeta straordinario, nel vero senso della parola, che fu Palazzeschi.
Con trentamila potete mettere le mani sulla prima edizione di Myricae di Giovanni Pascoli, uno dei testi chiave del Novecento.
Ne esistono pochissimi esemplari (non c'è accordo su quanti: diciamo che le biblioteche ne contano sette e il mercato privato, a quanto se ne sa, pure di meno).Per cinquemila e cinquecento, ecco a voi le Poesie a Casarsa di Pier Paolo Pasolini, opera prima in friulano, trecento esemplari in tutto.