Ma di cosa stiamo parlando? Ora che perfino il colto Antonio DOrrico, sul nordico Magazine, dedica nove pagine al quartiere della Garbatella, sotto il titolo «Dalla Roma dei Cesari a quella dei Cesaroni», lattacco del Domenicale rischia di apparire solo umorale, nervosetto, soprattutto fuori tempo massimo. Al terzo ciclo della fortunata serie, con 8-11 milioni di spettatori che ogni venerdì si sintonizzano su Canale 5 per seguire le agrodolci traversie di questa piccola comunità di romani doc, ascesa a «metafora (leggera) dItalia», fa un po sorridere laccusa a carico: «Apologia dellitaliano che si arrangia, anche a costo di commettere ingiustizie e reati» (?).
Va bene, cè un illustre precedente. Nel 1954 Luigi Zampa girò un film intitolato proprio Larte di arrangiarsi, con Sordi nei panni di Rosario Scimoni, romano arrivista e voltagabbana che non esita a sfruttare cinicamente le proprie conoscenze e a schierarsi con tutti, fascisti e comunisti, pur di sfangarla. Ma i fratelli Cesaroni sono fatti di una pasta diversa. Sia il vedovo e paterno Giulio (Amendola) sia larcigno e sessualmente maldestro Cesare (Fassari) appartengono a unaltra categoria di quiriti, la loro colorita bottiglieria, oggi meta di pellegrinaggi turistici al pari della casa di Montalbano, è davvero un rifugio simbolico nel quale è facile ritrovarsi un po tutti, anche chi non smoccola «li mortacci sua».
«Cè del buono nel metodo Cesaroni», titola Il Secolo dItalia, difendendo la composita e allargata famiglia dallattacco del Domenicale (e pure dalle critiche estetiche di Aldo Grasso). In effetti, metodo è la parola giusta. Tornati «di tutti», dopo che qualche commentatore aveva voluto dipingerli come «di sinistra», i Cesaroni appartengono a unItalia media, non mediocre, che si misura con le strettoie dellesistenza, certo assecondando un copione volto a suscitare conflitti di mentalità su temi come lomosessualità o il bullismo, dilemmi anche morali (lamore tra Marco ed Eva), dentro una cornice di ragionevole autoindulgenza. Non autoassoluzione.
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