I casi sono due: o il candidato moderato Moussavi si è comportato in maniera irresponsabile annunciando, venerdì sera, la sua vittoria quando il ministero dell'Interno dava già Ahmadinejad in schiacciante vantaggio, o le elezioni iraniane sono state viziate da brogli senza precedenti. Che il regime abbia compiuto prevaricazioni gravissime è inconfutabile: molta gente nella capitale non ha potuto votare per mancanza di schede, durante la consultazione sono state bloccati gli Sms, ci sono stati casi di urne manomesse. Ma è difficile credere che, nel clima infuocato creato dalla campagna elettorale, il governo sia riuscito a fabbricare nella notte i 10 milioni di voti che hanno diviso i due contendenti e assicurato ad Ahmadinejad la rielezione al primo turno. Sembra più verosimile che il messaggio di Moussavi, che ha fatto breccia tra i giovani e le donne della capitale, contribuendo a una partecipazione al voto dell85%, non sia arrivato nelle periferie e nelle campagne. Il risultato è che il proletariato, beneficiato da Ahmadinejad con una generosa distribuzione della rendita petrolifera e sedotto dalla sua retorica ultranazionalista, ha sconfitto le classi medie che anelano a una maggiore libertà, sono stufe delle interferenze nella loro vita privata e vogliono rapporti più distesi con l'Occidente.
Moussavi grida alla truffa e si è appellato alla Guida suprema, ma le sue possibilità di riaprire i giochi sono scarse. L'ayatollah Khamenei ha già avallato i risultati e invitato a rispettarli; la polizia presidia massicciamente le strade e ha impedito allo sconfitto di tenere una conferenza stampa; Guardie rivoluzionarie e Basji, schierati con il presidente, sono pronti a entrare in azione. Per le forze riformiste tentare di rovesciare il risultato ricorrendo alla piazza sarebbe un suicidio, anche se ieri sera hanno inscenato dimostrazioni massicce che avranno sicuramente un seguito. Perciò, chi sperava in una rivoluzione di velluto dovrà rassegnarsi ad altri quattro anni di Ahmadinejad, con la sua ossessione per Israele, la sua ostinazione a rifiutare ogni trattativa sullarricchimento delluranio e la sua incapacità a gestire uneconomia in picchiata.
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