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Il commento Indagini a senso unico Perché trascurare tutte le altre piste?

Quando l’omicidio è del tipo d’impeto, quindi non premeditato e organizzato, e, quando mancano l’arma del delitto, le tracce biologiche e le impronte digitali dell’assassino, la sua confessione o testimoni oculari certi e attendibili, gli inquirenti hanno il dovere di amplificare al massimo per collegarli, i seguenti tre indicatori del crimine: l’alibi del sospettato, l’orario dedotto della morte della vittima e la firma psicologica dell’assassino sul cadavere.
Nel caso di Garlasco risulta, purtroppo, che gli inquirenti (pm, polizia giudiziaria e Ris) hanno perso tempo prezioso, si sono invaghiti dell’unica pista (gradita) sul mercato, cioè, Alberto Stasi e non hanno approfondito i tre formidabili indicatori che ho citato.
L’alibi. Anzitutto era dovere degli inquirenti verificare in tutti i modi possibili l’alibi di Alberto Stasi, applicando i metodi informatici e le tecnologie investigative che solo oggi, dopo ben due anni, sono stati applicati. È avvilente che solo ora ci si accorga che Alberto Stasi ha un alibi almeno sino alle 12.20 e che, quindi, non ha potuto uccidere Chiara entro le 12 così come in ipotesi accusatoria. Al che, appare ovvio che da due anni gli inquirenti stiano sperperando i soldi del contribuente sognando la chimera di «Stasi assassino» basandosi su una «falsa certezza» e, così, tralasciando tutte le altre piste degne di essere seguite.
L’orario della morte di Chiara Poggi è stato analizzato da consulenti e periti e appare certo che vada dalle ore 10 alle ore 11.30, massimo ore 12: un range temporale che se prima poteva «inguaiare» Stasi, oggi, alla luce dei dati certi emergenti dalla perizia scientifica sul computer, lo salva e lo pone fuori dalle «possibilità esecutive del crimine». È inquietante accorgersi che per due anni gli inquirenti abbiano fondato le loro attività investigative su un dato sbagliato: ben si sa, che da un presupposto errato si arriva solo a conclusione errate!
La firma dell’assassino. L’omicida di Chiara Poggi ha lasciato la propria firma psicologica sulla scena e sul cadavere. Una firma complessa, variegata ed articolata che non conduce necessariamente ad Alberto Stasi, ma che può aprire nuovi scenari sinora inesplorati, solo se si avrà il coraggio di abbandonare la «pista unica del biondino di Garlasco». Difatti l’assassino ha dimostrato un’improvvisa ostilità che è diventata aggressività mortale e mancanza di autocontrollo; una violenza distruttiva e una rabbia furiosa scoppiate a causa di un comportamento di Chiara Poggi, che ha inferto - forse inconsciamente - una profonda ferita narcisistica all’ego dell’assassino; la possibilità di impadronirsi di un utensile della casa sino a scatenare un massacro, animato dall’odio e dalla volontà di cancellare l’offesa subìta; il tentativo puerile di fare sparire il corpo di Chiara trascinandolo e poi buttandolo sulle scale e, con l’occultamento del corpo, occultare il proprio senso di colpa, ma non l’odio profondo verso quel corpo. La firma ci parla di gelosie, di invidie, di delusioni e di una personalità impulsiva e inadeguata, di un soggetto insicuro e privo di autocontrollo!
Purtroppo, le perizie disposte dal gup Vitelli potranno arrivare «solo» a non fare processare un innocente o una persona contro la quale non vi è alcuna prova, ma non a inchiodare il vero colpevole. Di questo dobbiamo ringraziare quegli inquirenti che, indagando «in nome del popolo italiano», hanno invece pensato un po’ troppo a farsi illuminare dai riflettori mass mediatici, a scrivere libri e a tentare improbabili carriere politiche, dimenticando che «il servitore dello Stato deve agire in silenzio, senza tentazioni ma con umiltà».
*Criminologo Criminalista
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