Il commento Quell’offerta di dialogo ora mette in crisi la Casa Bianca

Nella sua storica offerta di dialogo all'Iran, Obama si impegnò anche - con delusione della diaspora - a non cercare più quel "cambiamento di regime" che era tra gli obiettivi segreti di Bush. L'offerta aveva un senso nel quadro della politica della mano tesa, del tentativo di indurre Teheran a prendere finalmente in considerazione la proposta occidentale di rinunciare alle sue ambizioni nucleari in cambio di un pacchetto di sostanziose concessioni. Bisogna tuttavia chiedersi se abbia ancora un senso oggi che il regime è violentemente contestato dagli stessi iraniani e, in seguito ai brogli che hanno confermato al potere Ahmadinejad e alla sanguinosa repressione delle proteste che ne sono seguite, ha perduto buona parte della sua legittimità. Il Grande ayatollah Montazeri, che era stato il braccio destro di Khomeini, ha previsto che «potrebbe cadere», il candidato riformista sconfitto Moussavi ha bollato gli attuali governanti come «sostenitori di un Islam pietrificato e di modello talebano» e la Nobel Shirin Ebadi ha invitato l'Occidente a sospendere qualsiasi contatto con Teheran fino a quando le elezioni presidenziali non saranno annullate.
Su 290 deputati al Parlamento, ben 185, compreso il presidente Larijani, si sono rifiutati di partecipare alla festa della vittoria di Ahmadinejad e - secondo fonti bene informate - un terzo dei Grandi ayatollah di Qom si sarebbero dissociati dalla Guida suprema Khamenei e dal Consiglio dei guardiani, che ieri hanno avuto la faccia tosta di definire l'elezione di 15 giorni fa «la più corretta dal 1979». Intanto, centinaia di migliaia di cittadini, cacciati dalle piazze dalla violenza dei Basiji, continuano a manifestare il loro dissenso gridando di nottetempo dai tetti «Dio è grande» e «morte al dittatore» e commemorando la giovane martire Neda inondando il cielo di palloncini verdi. Questo significa che a volere quel "cambiamento di regime" cui Obama ha rinunciato, o almeno la cacciata dell'attuale gruppo di potere, sono ormai anche molti esponenti dell'establishment iraniano e la parte più avanzata e dinamica della popolazione: non sono strutturati in un partito, non hanno tutti gli stessi obiettivi, non hanno ancora la forza per sconfiggere il brutale apparato repressivo schierato contro di loro, ma certamente rappresentano il domani.
Ahmadinejad ha invitato perentoriamente Obama a non interferire negli affari interni del suo Paese e la propaganda ufficiale sta facendo il possibile per addossare la responsabilità dei disordini ai servizi occidentali. Un giornale governativo è arrivato ad accusare la Bbc di avere organizzato l'omicidio di Neda per realizzare un reportage. Nel comunicato di Trieste - condizionato dalla necessità di accordarsi con la Russia - il G8 si è limitato a deplorare la violenza postelettorale e a esortare Teheran al rispetto dei diritti fondamentali, ma si è astenuto dal pronunciarsi sulla regolarità delle elezioni, con l'evidente intento di lasciare la porta aperta al dialogo anche con un presidente che non ha più il consenso del suo popolo. A caldo, non era forse possibile fare altrimenti.

Ma se Ahmadinejad continuerà a massacrare gli oppositori, a rifiutare ogni trattativa sul nucleare, a minacciare Israele e - in un discorso segreto trapelato in Occidente - annunciare una prossima rivoluzione planetaria, sarà opportuno esaminare la possibilità di sostenere la rivoluzione sociale, politica e culturale che potrebbe sbarazzarci di lui una volta per sempre.

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