Sono bastati trecento «centrosocialisti» imbufaliti dopo lo sgombero del «Conchetta», per tenere in scacco un’intera città per una decina d’ore. Tra cortei, blocchi stradali, cassonetti rovesciati, bombe carta e petardi, urla e insulti si è andati avanti dalle 10 del mattino alle 19, quando i manifestanti urlando «Questa piazza non merita più la nostra presenza» hanno tolto d’assedio Palazzo Marino, loro ultima tappa. Sotto lo sguardo vigile di circa trecento uomini tra polizia (e uno di questi, colpito con un calcio, ha due costole scheggiate), carabinieri e Guardia di finanza, disseminati nei punti strategici, con l’ordine tassativo però di non intervenire. La solita faticosa giornata di tensione inizia alle 5 del mattino quando le forze dell’ordine si presentano in via Conchetta per chiudere il centro sociale «Cox 18», un edificio di proprietà del Comune occupato ormai dalla fine degli anni ’80.
Divisi in squadre, gli uomini in tenuta antisommossa vanno subito a sigillare imbocchi da corso san Gottardo e da viale Sforza. Alle 7 vengono fatte saltare le serrature e le forze dell’ordine «mettono in sicurezza» l’edificio. Con gli arredi, libreria e archivio Primo Moroni, migliaia di libri e riviste, a disposizioni dei proprietari.
Nel frattempo parte il tam tam dei centri sociali e nel giro di pochi minuti arrivano i primi bellicosi antagonisti. Pochini, non più di trenta. Si decide di aspettare l’arrivo dei rinforzi e solo alle 10.30, arrivati a 150 circa, i «centrosocialisti» tentano di sfondare il cordone delle forze dell’ordine. Più simbolicamente che altro. Qualche spinta, quattro manganellate, un paio di contusi e la «scontro» e bell’e finito.
Verso le 11.30 cambio di strategia, un gruppo di un 50/100 si sposta in viale Liguria per bloccare la circonvallazione interna. Tra spinte, urla, clacsonate, si va avanti per quasi un’ora, poi il «blocchisti» si ricongiungono agli altri e partono in corteo diretti in centro. Urlando, rovesciando cassonetti arrivano in piazza XXIV Maggio dove il dirigente del servizio, gentilissimo, dice «Vi porto dove volete, ma con noi alla testa». Orrore, non sia mai! Rifiutata sdegnosamente la proposta i manifestanti rispuntano al «Cox», sempre mandando a quel paese De Corato, Moratti, polizia e carabinieri con raffinati coretti mutuati dal repertorio degli ultrà del calcio. Momenti di tensione in via Vigevano e davanti alla stazione di Porta Genova. Ma, come cantava qualche anno fa Fabrizio De André, «le contromisure fino a quel punto si limitavano all’invettiva».
Verso l’una rieccoci in via Liguria, nuovamente bloccata in due punti distinti, nuovamente tra insulti e litigi con gli automobilisti, un paio di quali tentano di forzare il blocco, rimediando pedate alle portiere. Si va avanti per un’altra mezz’ora, quindi rieccoci davanti al Cox a riprendere fiato in vista dell’assalto finale a palazzo Marino e attendere ulteriori rinforzi. E alle 15, in circa 300 ripartono: San Gottardo, rovesciando i rovesciabile, Ticinese, Carrobbio, Torino, Duomo e infine dopo un’oretta arrivo in piazza Scala. Qui gli «antagonisti» trovano forze dell’ordine e una doppia fila di transenne: scoraggiata qualsiasi iniziativa violenta. Quindi ancora insulti con la richiesta di incontrare la giunta. Richiesta debitamente ignorata.
Stancamente, tra slogan e trucidi proclami, passano un paio di ore, e alle 18 rieccoli in strada a fermare i tram, ancora insulti e «vaffa» e «andate a lavorare» dei malcapitati viaggiatori. Alle 19, stremati dalla dura lotta tutti a casa, cena veloce e alle 21.30 assemblea per decidere in da farsi. Sicuramente non è finita qui e oggi Milano dovrà aspettarsi un’altra faticosa giornata.
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