Coppie di fatto, non curò la compagna: assolto

Per il giudice il rapporto di convivenza non obbliga ad assistere il partner

L’uomo di 51 anni che non ha fatto curare la donna slava gravemente malata con cui conviveva, e che nell’ultimo mese di vita era arrivata a pesare 30 chili, di fronte alla legge non è colpevole di nulla. «Il rapporto di convivenza, quale rapporto di fatto e non disciplinato dalla legge, è privo di rilevanza penale». Questo il principio in base al quale il presidente della Prima Corte d’assise di Milano, Luigi Domenico Cerqua, ha assolto dall’accusa di abbandono d’incapace per malattia un camionista milanese, N.L.N. che conviveva da 15 anni come una donna di origine slava, ammalata di tumore.
Secondo l’accusa, non le avrebbe somministrato le cure necessarie, tanto che la convivente era morta il 19 maggio 2002, in seguito a una lunga e devastante malattia. Per Cerqua, non può estendersi al rapporto di convivenza quanto previsto dall’articolo 143, comma 2, del Codice civile «che limita ai soli coniugi l’obbligo all’assistenza morale e materiale». Per il giudice «sarebbe infatti contra legem, in un sistema retto dal principio di legalità, rendere applicabile la norma penale anche alle violazioni di obblighi morali o di solidarietà, e quindi anche nei confronti delle famiglie di fatto, ovvero di coloro che convivono more uxorio». «La cura, al pari della custodia - argomenta il presidente della Corte - deve fondarsi su uno specifico obbligo giuridico».


Dal processo, però, non è emerso con sicurezza che l’uomo, «nel suo stato di ignoranza e nella situazione di degrado totale in cui viveva con la propria compagna, si sia volontariamente sottratto al dovere generale di prestare soccorso».

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