
Ferdinand Hodler riceve i primi insegnamenti presso l'atelier di Ferdinand Sommer, pittore in vedute alpestri per turisti. È una indicazione puramente biografica, perché da questo atteggiamento Hodler si distaccherà presto e con crescente rigore, per approdare a un simbolismo molto personale. Dopo una difficile infanzia a Berna, si trasferisce a Ginevra, dove inizia a frequentare, tra il 1872 e il 1876, Barthélemy Menn, amico di Corot e allievo di Ingres. Alla scuola di Menn, Hodler si libera dal pittoresco di Sommer, per una tensione all'equilibrio formale e al disegno. Menn fa scoprire a Hodler la pittura francese, e in particolare Courbet (che si trova tra le Alpi Svizzere proprio in quegli anni), il cui esempio si rivelerà determinante.
Negli ultimi anni della sua vita, Gustave Courbet si trasferisce a La Tour-de-Peilz, sul lago Lemano, in Svizzera. Nel 1872, infatti, l'artista venne arrestato e condannato, prima a sei mesi di carcere, poi a due anni, con la confisca di tutti i beni. Trova dunque pace e malinconia in Svizzera, dove darà vita ai suoi ultimi quadri, meravigliose vedute del lago Lemano (che dipingerà anche Hodler in un'opera estrema, del 1918, anno della sua morte), del Castello di Chillon e scorci delle Alpi.
In Veduta delle Alpi e Vista panoramica delle Alpi Courbet guarda con i nostri occhi. Sospende i valori simbolici, spazza via i significati sacri, bandisce qualsiasi astrazione; guarda la montagna, e la fa parlare. Le Alpi con la neve, con il cielo, sono esattamente quello che sono. Il pittore ha il compito di farle parlare e, semmai, con la sua devozione e la sua capacità tecnica, raccoglierne la testimonianza in un'immagine. Questa ricerca della purezza, questo esercizio spirituale al contrario, di fare emergere la montagna per quello che è, è stata una lezione fondamentale per il pittore svizzero, che tuttavia va oltre. Pur nella adesione alla Secessione viennese (1900) e poi a quella di Monaco, non rinunciò mai alla lezione realista che, attraverso Menn, gli veniva impartita da Corot, Ingres e in particolare Courbet.
Questa autonoma sintesi del mondo viennese e francese la insinua lo stesso Hodler, quando scrive: "Un paesaggio che conosciamo ci tocca più profondamente; lo capiamo meglio perché ci è familiare. Bisogna averci vissuto per comprenderlo, esattamente come si deve aver sofferto per poter rappresentare la sofferenza. Bisogna aver visto i cieli".
E vediamo in uno dei suoi capolavori, Dents du Midi da Chesières, del 1912, un dipinto visionario, una conquista mistica. La montagna è azzurra, ma non è La Montagna Blu di Vasilij Kandinsky del 1909, che pure Hodler doveva avere presente.
Kandinsky, ne La montagna blu dipinge un mondo nuovo, e segna il punto di passaggio dalla figurazione all'astrattismo. Quel che rimane della forma della montagna "deriva da una necessità psichica interiore", è espressione dell'individualità dell'artista. I colori si compongono come un'opera dodecafonica di Arnold Schönberg, con cui condivideva una analoga visione. In Kandinsky sentiamo l'astrazione che un secolo prima, in Giappone, Katsushika Hokusai aveva intrapreso, in modo solitario. La montagna non è quello che è, ma è il tumulto che l'artista sente dentro di sé.
Hodler sente La montagna blu di Kandinsky, ma resiste alla sua completa astrazione, e regala questo assoluto capolavoro, la montagna come estasi, come sublimazione in perfetto equilibrio di forme. È un'immagine assolutamente potente perché esprime il sentimento del paesaggio, una concezione così profondamente interiore che la sagoma del monte diventa come un disegno astratto, ma senza essere soltanto astrazione.
Di segno diverso è il simbolismo di un altro pittore svizzero, Arnold Böcklin, nato a Basilea nel 1827, innamorato dell'Italia, ma è un'Italia sulfurea quella che lui reinventa, pur vivendo tra Firenze e Roma. A Firenze Böcklin dipinse il suo Prometeo, modello per quelli di De Chirico e Savinio. È una montagna di spettri e fantasmi, la montagna come luogo delle potenze e dei demoni del sottosuolo, la montagna come Isola dei Morti. Sulla sommità, quasi celato e confuso nelle forme della roccia, sta, incatenato, Prometeo.
Nel profilo del promontorio si scorge quello del Monte Morello, presenza trasfigurata di una Firenze antirinascimentale. Il cielo è cupo e tumultuoso, cielo di dolore e minaccia, che non può essere rischiarato.Ferdinand Hodler rappresenta l'emozione del cielo più vicino, Arnold Böcklin l'inquietudine dell'inferno sottostante.