Così si benedicono soltanto i fuorilegge

Ho letto ieri, forse non a caso sul quotidiano «Repubblica», la notizia che il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, chiede con forza che a Milano venga subito costruita una moschea. Immaginiamo pensi a una grande moschea, capace di competere per forza arcitettonica e simbolica con il Duomo. O forse più moschee. La cosa non mi sorprende, vista la grande attenzione che il Pastore della diocesi Ambrosiana da sempre dedica al mondo islamico. Ma al contempo mi lascia molto perplessa nonostante io sia ovviamente favorevole alla libertà di culto. Perplessa perché l'appello del cardinale alle autorità e istituzioni della città rappresenta una parte del problema, è il richiamo a rispettare una sola delle libertà in questione, quella appunto di pregare chi si crede.
Affrontare soltanto questo spicchio è forviante, addirittura pericoloso. É ovvio che uno Stato laico non debba interferire nelle scelte private dei cittadini e anzi laddove possibile addirittura agevolarle. Ma ciò non è possibile che avvenga senza regole che tutelino l'intera comunità e quindi lo Stato stesso. Financo con la Chiesa cattolica i rapporti sono regolati da un concordato che stabilisce i diritti e i doveri delle parti. Dalle messe alle processioni, dai battesimi ai funerali, tutto avviene in modo pubblico, trasparente e al di là del segreto della confessione i religiosi possono essere chiamati a rispondere, alla gerarchia cattolica e alle autorità civili, del loro operato.
Nel mondo islamico così non è. Non esiste gerarchia, non c'è un registro degli imam (le guide delle comunità), le predicazioni avvengono in lingua araba, il loro contenuto spesso esula dai precetti religiosi e sconfina in quelli politici, gli stessi precetti spesso sono in conflitto con il nostro codice civile e penale. Così, semplifico, può accadere che un luogo pubblico e autorizzato dallo Stato, si inciti alla poligamia, alla sottomissione delle donne, a sacrificare la propria vita in nome di Allah, si lancino fatwe contro infedeli (cioè noi), o si giustifichino barbarie tipo la lapidazione delle donne infedeli. E per di più a nostra insaputa non avendo modo di comprendere la lingua.
Senza la garanzia che tutto ciò non possa avvenire, accogliere l'appello del cardinale Tettamanzi vorrebbe dire garantire l'impunità a una serie di reati che invece verrebbero contestati e perseguiti se compiuti da cittadini appartenenti ad altre religioni. Significa permettere che una cultura in conflitto con le nostre leggi cresca e si espanda, significa mettere a rischio la nostra civiltà e la nostra sicurezza.
Chiedo quindi al sindaco Letizia Moratti, al prefetto e a chi dovrà esaminare la risposta della Curia di Milano di pensarci bene prima di imboccare strade che solo apparentemente farebbero fare alla città un passo verso una comunità più accogliente e solidale. Il numero di reati che vengono compiuti nelle moschee dietro lo scudo della libertà di culto già accertati in Italia e nel mondo è impressionante e vanno dalla protezione dei clandestini alla complicità con le cellule terroristiche islamiche. Questi sono fatti documentati nei tribunali italiani, non opinioni personali.
Se gli islamici vogliono la collaborazione delle autorità pubbliche, diano segnali concreti di voler adeguarsi alle nostri leggi. E al nostro sentire. Non mi risulta, per esempio, che la comunità islamica milanese sia scesa in piazza per chiedere ai fratelli iraniani di sospendere l'esecuzione della giovane Sakineh.

Né su questo tema c'è traccia esplicita di sdegno, a differenza di quanto sta avvenendo in Vaticano, nelle parole del cardinale Tettamanzi. E ciò, come membro della sua comunità cristiana, mi ferisce e addolora più, molto di più, della mancanza di una moschea.

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