Uccise il padre per difendere la madre, assolto definitivamente Alex Cotoia

Definitiva in Cassazione l’assoluzione di Alex Cotoia che, a 18 anni, uccise il padre Giuseppe Pompa per proteggere la madre

Uccise il padre per difendere la madre, assolto definitivamente Alex Cotoia
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È definitivo: assolto Alex Cotoia, il 25enne che uccise il padre, cambiando poi il cognome e scegliendo quello della madre. Quella stessa madre che aveva cercato di difendere dai maltrattamenti paterni. Alex, a propria volta, si è dovuto difendere per l’ultima volta in tribunale: la quinta sezione penale della Cassazione ha accolto la richiesta della procura generale, rendendo definitiva l’assoluzione, come riporta Adnkronos.

Cotoia era stato assolto in primo grado - gli era stata riconosciuta infatti la legittima difesa - per poi essere condannato in appello a 6 anni e 2 mesi di reclusione. Nel 2024 la Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza di condanna, disponendo un appello bis, in cui il giovane era stato nuovamente assolto. A margine della pronuncia della suprema corte, il commento di uno dei suoi avvocati, Claudio Strata, è stato: “Alex ora può cominciare a vivere”.

Alex Cotoia, che all'epoca aveva 18 anni, aveva ucciso il padre, Giuseppe Pompa, il 30 aprile 2020 con 34 coltellate nella loro casa a Collegno in provincia di Torino. Sarebbe accaduto durante una furibonda lite, che - è stato riportato dalla difesa - non sarebbe stata la prima. Pompa è stato infatti dipinto come un padre e soprattutto come un marito maltrattante: madre e figli avrebbero sofferto molto per la situazione, tanto che ci si è interrogati a lungo nel corso dell’iter processuale sulla questione della legittima difesa. Il caso aveva fatto molto discutere l'opinione pubblica proprio per questo: in un'epoca costellata di casi di violenza di genere, la vicenda di un figlio che difende la madre aveva scosso le coscienze.

Nella sua requisitoria, il pg di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della procura generale di Torino contro il giovane, difeso dai legali Claudio Strata, Enrico Grosso e Giancarla Bissattini. La pg torinese Lucia Musti, infatti, con l’avvocato generale Giancarlo Avenati Bassi, aveva chiesto l’annullamento dell’assoluzione ricevuta nel processo di appello, oltre al rinvio degli atti a un nuovo collegio. La scelta di Gusti sarebbe stata legata all’ “illogicità” e “travisamento della prova”: in pratica, la scena del crimine sarebbe stata troppo ordinata per essere stata teatro di una violenta lite in famiglia, e quindi Cotoia non avrebbe agito per “legittima difesa”.

Altri elementi, che per Musti cozzavano con l’assoluzione, erano

rappresentati dal fatto che vittima e imputato non avrebbero presentato entrambi ferite da difesa, oltre alle presunte bugie della madre Maria Cotoia e del fratello maggiore Loris, invece indicato come complice.

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