Qualcuno le chiama già prove generali di separazione delle carriere. La Procura di Milano da qualche giorno è scesa in guerra con l’ufficio dei Gip, chiedendo di ricusare due giudici perché non allineati con le ipotesi della Procura. Si tratta del gip Tommaso Perna e del gup Roberto Crepaldi, vittime degli strali per due vicende diversissime ma sovrapponibili. Segno che, quando il gip si spalma sulle ipotesi della Procura va bene - vedi certe ordinanze col copia-incolla dell’antimafia del recente passato - quando se ne distacca deve essere allontanato o peggio ricusato.
Perna è il giudice delle indagini preliminari che non ha voluto accogliere 150 richieste di custodie cautelari chieste dall’Antimafia nell’inchiesta Hydra sulla possibile supermafia composta da un’alleanza Cosa nostra-camorra-’ndrangheta nel Milanese. Al di là del fatto che il Riesame e la Cassazione abbiano dato torto a Perna, riconoscendo la bontà dell’impianto accusatorio - il problema casomai è rivedere il concetto di associazione mafiosa rispetto ai reati economici, ma questo è un altro discorso e non spettava al Gip sostituirsi al legislatore - secondo la Procura la «colpa» di Perna (per cui è stata chiesta un’azione disciplinare e una penale a Brescia) è quella di essere stato citato in alcuni colloqui difensivi tra indagati e legali come possibile destinatario di istanza di scarcerazione (peraltro respinte, ma tant’è).
Anche le Camere penali, tirate per la giacchetta per la palese violazione del diritto alla difesa degli indagati, sono scese in campo per difendere «legittime e usuali interlocuzioni tra difensori e giudice» trasformate in grimaldelli per paventare «la commissione di condotte penalmente rilevanti», come si legge nel documento trasmesso alla Procura di Brescia firmato dalla pm Alessandra Cerreti e dal Procuratore capo Marcello Viola.
A doversi astenere, a giudizio della Procura, è invece il Gup Crepaldi. A chiederlo è il pm Francesco De Tommasi, il magistrato che ha condotto le indagini sulla trentasettenne Alessia Pifferi, condannata all’ergastolo per omicidio volontario il 13 maggio 2024 perché nel luglio del 2022 lasciò per una settimana da sola a casa la figlia di un anno Diana, morta di stenti e di fame. De Tommasi aveva aperto un’indagine a carico di quattro psicologhe del carcere di San Vittore, di uno psichiatra e dell’avvocato della donna. Un’ipotesi che Crepaldi, attraverso un comunicato dell’Anm del 13 febbraio 2024 aveva stigmatizzato senza entrare nel merito della vicenda, nell’ottica di un «sereno svolgimento del processo, a tutela di tutte le parti processuali». E per questo il pm aveva chiesto (invano) che il Gup si astenesse dal giudicare questo secondo filone d’indagine.
Al netto delle valutazioni sull’opportunità di indagare i legali degli imputati o di puntare il dito su un gip che non ha condiviso l’impianto di una delicatissima indagine antimafia, queste due vicende restituiscono plasticamente la necessità di separare carriere e funzioni inquirenti e giudicanti, come la riforma della giustizia ha in animo.
Cosa c'è dietro la lite pm-gip a Milano
Le vicende dei giudici per cui la Procura chiede (invano) la ricusazione raccontano perché è necessaria la separazione delle carriere
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