Cronaca giudiziaria

Droga e feste a luci rosse in chiesa pagate con le donazioni alla parrocchia

La parrocchia della Castellina di Prato (Toscana) ha intentato una causa civile nei confronti di don Francesco Spagnesi, il sacerdote che ha patteggiato tre anni e otto mesi per spaccio di droga, appropriazione indebita e truffa ai danni dei fedeli. La richiesta è di 180mila euro, ovvero la somma che il parroco avrebbe speso in droga e feste a luci rosse

Don Francesco Spagnesi, parroco della Castellina di Prato
Don Francesco Spagnesi, parroco della Castellina di Prato

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Droga e feste a luci rosse in chiesa pagate con le donazioni alla parrocchia

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Nel dicembre del 2021 aveva patteggiato una condanna a tre anni e otto mesi per spaccio di droga continuato, appropriazione indebita dei soldi della parrocchia e truffa ai danni dei fedeli. Ad arricchire la vicenda, ieri, è però arrivato un nuovo capitolo: il consiglio pastorale della parrocchia da lui guidata per anni ha promosso una causa civile nei suoi confronti, chiedendo un risarcimento di 180mila euro. Si profilano insomma nuovi guai per don Francesco Spagnesi, il sacerdote di Prato (Toscana) accusato di utilizzare i soldi delle offerte dei fedeli e quelli della parrocchia della Castellina per acquistare cocaina e gbl (la cosiddetta "droga dello stupro"). Sostanze che poi consumava nei festini a luci rosse per soli uomini, organizzati insieme al compagno. Stando a quanto riportato dal quotidiano La Nazione, la cifra richiesta dal consiglio eguaglierebbe il denaro sottratto da don Spagnesi dalle casse parrocchiali ed utilizzato per le "feste hard".

La causa risulta quindi in corso davanti al tribunale di Prato, dopo un primo tentativo di transazione fra le parti non andato a buon fine: i legali di don Spagnesi avrebbero proposto la restituzione della somma in piccole rate, per un'ipotesi che sarebbe tuttavia stata rifiutata. L'appropriazione indebita contestata al sacerdote riguarda anche la Misericordia di cui era correttore, anche se in questo caso il totale risulta più contenuto. Quando gli ammanchi, operati nel tempo con una frequenza sempre maggiore, diventarono argomento di discussione sul quale non si poteva non intervenire, il vescovo Giovanni Nerbini tolse dai conti correnti la firma del prete. E quando non ebbe più la possibilità di prendere i soldi dal conto corrente della parrocchia, per mantenere quel tenore di vita don Spagnesi si prodigò con i fedeli per chiedere ulteriori donazioni: secondo gli inquirenti chiedeva offerte da devolvere a famiglie messe in difficoltà dal Covid, ma in realtà utilizzava il denaro raccolto per i "festini hard".

In questo poco avrebbe raccolto poche migliaia di euro, con i fedeli che non hanno però mai sporto denuncia nei confronti del sacerdote 42enne. Già, perché Spagnesi resta formalmente ancora un sacerdote: lo scorso anno annunciò l'intenzione di smettere l'abito talare e di riprendere gli studi universitari, ma il primo proposito non sembra sin qui aver trovato riscontri: seppur rimosso dalle funzioni e privo dello stipendio erogato dall'Istituto per il sostentamento del clero, don Spagnesi continuerebbe comunque a percepire un sussidio dalla Cei.

Anche se il procedimento canonico aperto nei suoi confronti dal Vaticano sta andando avanti e potrebbe alla fine portare alla riduzione allo stato laicale.

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