Da Garlasco a Fausto e Iaio: quando la gestione maldestra dei reperti diventa un caso

Grazie alle tecnologie più avanzate oggi a disposizione, si potrebbe mettere la parola fine ad alcuni dei misteri italiani o cold case rimasti irrisolti

Da Garlasco a Fausto e Iaio: quando la gestione maldestra dei reperti diventa un caso
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Mettere la parola fine ai vecchi cold case. E restituire giustizia alle vittime di verità giudiziaria assenti o lacunose. Hanno fatto notevoli passi in avanti le tecnologie a disposizione oggi: ecco perché torna di attualità la proposta, avanzata dall'ex magistrato Guido Salvini, di una legge che preveda la "conservazione obbligatoria dei reperti relativi a stragi e omicidi (sia comuni sia di mafia e terrorismo) in "locali separati e casseforti". E per altro con modalità adeguate a impedirne il deterioramento.

Garlasco, in questi giorni, è un caso che sta facendo discutere: gli inquirenti sono alla ricerca di reperti ritrovati sulla scena del crimine nell'indagine dell'epoca, che però - è il sospetto - potrebbero essere andati distrutti, vista la condanna diventata nel frattempo definitiva ad Alberto Stasi, fidanzato della vittima Chiara Poggi. Un elemento ritenuto molto importante nella nuova indagine sul caso è, ad esempio, l'intonaco su cui era presente l'impronta papillare numero 33, attribuita al neo indagato per l'omicidio. Ma l'intonaco potrebbe essere stato distrutto, appunto per via del tempo trascorso.

Anche la nuova indagine milanese su uno dei misteri italiani rimasti irrisolti, l'omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, il 18 marzo 1978, si avvale della ricerca di reperti che potrebbero essere stati conservati negli archivi dei corpi di reato. Tra questi gli otto proiettili calibro 7,65 con cui furono uccisi i due giovani frequentatori del centro sociale milanese Leoncavallo. Un elemento mancante è il berretto di lana blu, mai sottoposto ad accertamenti. È ritenuto poi cruciale nell'inchiesta un volantino di rivendicazione del duplice omicidio, che fu fatto ritrovare a Roma il giorno dopo i funerali dei ragazzi, e che sarà confrontato con un altro che rivendicava un attentato contro la sezione del Pci del quartiere Balduina a Roma, il 29 maggio 1979. Entrambi erano siglati "Esercito nazionale rivoluzionario-Brigata combattente Franco Anselmi".

Tra altri casi rimasti irrisolti, quello di Lidia Macchi: una studentessa ventunenne uccisa a coltellate con 29 coltellate il 5 gennaio del 1987, a Cittiglio, in provincia di Varese. Il suo assassino non è mai stato individuato: i reperti dell'inchiesta sono stati distrutti a distanza di 13 anni dal caso, nel 2000, per ordine del gip di Varese. E l'indagine che nel 2016 portò all'arresto di un suo compagno di liceo dell'epoca, si è conclusa con l'assoluzione piena dell'imputato e con la disposizione di un risarcimento (finora mai liquidato) nel suoi confronti.

Un'altra battaglia sui reperti è stata quella relativa al processo di Massimo Bossetti, da sempre professatosi innocente rispetto all'omicidio e alla violenza sessuale della tredicenne Yara Gambirasio, a Brembate di Sopra nella bergamasca.

Il principale punto contestato (che ha portato a un'indagine nei confronti della pm Letizia Ruggeri, infine archiviata) riguarda lo stato di conservazione dei 54 campioni di Dna residui trasferiti, dopo i tre gradi di giudizio, dal San Raffaele di Milano all’ufficio corpi di reato a Bergamo. Un'azione che ne ha compromesso la conservazione, secondo la difesa dell'imputato, rendendoli inutilizzabili per nuove analisi.

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