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L’esposto per diffamazione all’origine dell’inchiesta. Pressing Vincenzi sui pm

Un editoriale de "il Giornale" che dava conto della pratica di "voto di scambio" in uso nell’istituto ha innescato l’apertura del fascicolo

L’esposto per diffamazione all’origine dell’inchiesta. Pressing Vincenzi sui pm
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L'11 giugno 2025 l'agenzia Ansa batte questa notizia: Mediobanca ha depositato nelle scorse settimane in Procura a Milano un esposto, uguale a quelli presentati in Consob e alla Banca d'Italia, ipotizzando una presunta azione di concerto (ovvero un accordo occulto) tra i soci Francesco Caltagirone e la holding Delfin. Entrambi sono soci di Mediobanca, di Mps, che a sua volta aveva lanciato un'Offerta pubblica di scambio su Piazzetta Cuccia, e delle Generali, di cui proprio Mediobanca è primo azionista. In seguito a questa mossa, i pm milanesi hanno aperto un fascicolo a modello 45, ossia iscritto nel registro degli «atti non costituenti notizia di reato» senza conferire, riporta sempre l'Ansa, alcun incarico per attività investigative in attesa degli accertamenti degli organismi di vigilanza.

Ma cosa ha innescato questa vicenda giudiziaria? L'indagine ha preso le mosse da un esposto per diffamazione presentato a inizio 2025 da Mediobanca al tempo guidata da Alberto Nagel, con il suo braccio destro Stefano Vincenzi (consigliere legale), nei confronti di un editoriale del vicedirettore del Giornale, Osvaldo De Paolini, pubblicato su questo quotidiano il 23 gennaio 2025. Titolo: «Il voto di scambio in Mediobanca». Vi si commentavano le mosse del consiglio di amministrazione delle Generali, che «un po' troppo frettolosamente e contro gli inviti alla prudenza dei revisori interni», scriveva De Paolini, aveva dato parere favorevole alla nascita della joint venture con la francese Natixis, terzo colosso europeo del risparmio gestito. Nell'editoriale si sollevavano inoltre dubbi sul fatto che la nuova società avrà sede non a Trieste ma ad Amsterdam e sarà governata da un vertice formato da tre francesi, un americano e nessun italiano. Ma le maggiori perplessità evidenziate riguardavano i tempi del via libera (peraltro solo a maggioranza) del cda all'operazione Natixis tutt'oggi ancora in alto mare collegando questa fretta all'imminenza del rinnovo del cda medesimo del Leone (in calendario a maggio) e soprattutto dell'amministratore delegato della compagnia triestina. «In Mediobanca, vero e unico regista dell'operazione, devono aver pensato che era meglio accrescere ulteriormente il proprio arsenale di voti di scambio coinvolgendo direttamente le truppe del colosso francese», sottolineava l'editoriale. Dove si puntava il dito anche su un'altra anomalia, ovvero il fatto che il primo tra i grandi azionisti della compagnia, vale a dire Mediobanca (13,1%), figurava nel pool degli advisor che assistono Generali con un presunto conflitto di interessi. Il giorno dopo, sempre su Il Giornale, era stata pubblicata la replica stizzita di Mediobanca che «al fine di tutelare la reputazione del gruppo», smentiva qualsiasi collegamento tra l'approvazione da parte del cda del Leone della joint venture con Natixis e una presunta e opaca disponibilità da parte di Natixis a mobilitare pacchetti di azioni Generali. Precisava che «Generali è dotata di un comitato parti correlate che ha espresso parere favorevole con riferimento al ruolo di advisor rivestito da Mediobanca». E informava Il Giornale di aver dato mandato ai legali di avviare le opportune procedure per ottenere tutela in sede giudiziaria. De Paolini contro-replicava che «il gruppo, forte del 12,3% delle Generali, ha spesso gestito, direttamente e indirettamente, il voto nelle assemblee della compagnia triestina convocate per il rinnovo del cda».

Era l'inizio di una manovra che, partendo dall'esposto presentato dal tandem Nagel-Vincenzi, è proseguita nei mesi successivi con la consegna di nuovi stimoli ai magistrati meneghini affinchè fermassero l'Ops lanciata da Mps. L'indagine, con il risiko bancario sullo sfondo, si è poi allargata all'acquisto di azioni Mps realizzato attraverso Banca Akros per verificare se nell'operazione vi sia stato un accordo tenuto nascosto al mercato. Nell'inchiesta, affidata al Nucleo speciale di polizia valutaria della GdF, erano state effettuate acquisizioni documentali nella stessa Akros, che appartiene al gruppo Bpm.

A novembre 2024, ricordiamolo, il ministero dell'Economia ha ceduto il 15% di Mps, attraverso un cosiddetto accelerated book

building: la quota è stata comprata per un 8% dal polo Banco Bpm-Anima mentre il gruppo Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio avevano acquisito ciascuna il 3,5%. Ma al momento sul punto non si hanno notizie.

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