
Non ci sono solo gli inquirenti a interrogarsi sul perché il detenuto Emanuele De Maria abbia accoltellato un collega di lavoro durante un permesso dal carcere di Bollate, avrebbe ucciso una barista cingalese di cui era innamorato e poi si è suicidato a piazza Duomo, forse pianificando la sua delirante strategia, come ritengono anche i pm della Procura che se ne stanno occupando.
Non c’è solo la questione delle relazioni sentimentali che diventano tragedie, come ogni femminicidio a cui siamo ormai tristemente abituati sentimentali ci porta a pensare. Vengono in mente le profetiche parole che qualche anno fa disse l’ex procuratore di Mani Pulite Piercamillo Davigo, condannato per aver rivelato un segreto istruttorio a un membro del Csm
«Ammazzare la moglie costa meno che divorziare», raccontò qualche anno fa, prima che la normativa semplificasse la procedura. Una provocazione tipica di una visione forcaiola e giustizialista che poi gli si è ritorta contro.
«Eravamo l’unico paese al mondo dove una procedura di separazione e divorzio aveva una durata maggiore della pena edittale per la soppressione del coniuge», spiegava il magistrato, tra le risate del pubblico. Da codice penale per la soppressione del codice è prevista la reclusione a 30 anni, ma tra attenuanti di chi si costituisce, confessa, si offre di risarcire i parenti della vittima e l’eventuale «provocazione» da parte della vittima, rischia di restare in carcere (ai domiciliari, peraltro) appena un anno e mezzo mal contato se a suo dire il killer chiede il rito abbreviato, è incensurato ed è stato «provocato».
«Da vedovo (che ha espiato la colpa) potrebbe fare la comunione che da divorziato non potrebbe fare», il suo paradossale ragionamento. Che forse racconta, meglio di qualsiasi trattato giuridico, come la legge a volte sia impotente di fronte a tanta violenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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