Cronaca giudiziaria

L'avvocato delle famiglie di Rigopiano: "Il sistema ha protetto se stesso"

A seguito della sentenza choc sul processo per il disastro dell'hotel Rigopiano, parla l'avvocato Massimiliano Gabrielli, che rappresenta le famiglie di alcune vittime, e parla di un sistema che si è messo in moto per non arrivare a una vera giustizia

L'avvocato delle famiglie di Rigopiano: "Il sistema ha protetto se stesso"

Trenta imputati, 25 assoluzioni, 5 condanne dal sapore più simbolico che altro. È questo l’esito del processo sul disastro dell’hotel Rigopiano. Condannato l’allora e attuale sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, a 2 anni e 8 mesi, per il reato di omissione dell'ordinanza di inagibilità e sgombero. Condannati anche Paolo D’Incecco, dirigente del servizio di viabilità della Provincia di Pescara, e Mauro Di Blasio, che di questo servizio è il responsabile. 3 anni e 4 mesi con le attenuanti generiche per il monitoraggio della percorribilità delle strade rientranti nel comparto della SP8, la pulizia notturna dalla neve e la mancata chiusura al traffico veicolare del tratto stradale della provinciale 8 dal bivio Mirri e Rigopiano. 6 mesi invece al gestore e all’amministratore della società "Gran Sasso resort & spa" Bruno Di Tommaso e Giuseppe Gatto per falso.

Il Gup del tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, ha invece optato per l’assoluzione di Francesco Provolo, ex prefetto di Pescara, e Antonio Di Marco, ex presidente della provincia. Una sentenza che ha lasciato l’amaro in bocca. E, al netto delle urla che hanno fatto il giro delle televisioni da parte di alcuni sopravvissuti al disastro e di alcuni famigliari delle vittime, che ha gettato in un silenzioso sconforto la maggior parte di coloro che speravano in un esito diverso.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Massimiliano Gabrielli, che da anni si batte al fianco delle vittime in processi sui grandi disastri (tra gli altri, il naufragio della Costa Concordia, il disastro ferroviario di Viareggio e il crollo della torre piloti nel porto di Genova) e che, in questo caso, rappresenta due famiglie che si sono viste portare via i propri cari quel 18 gennaio del 2017. 29 vittime su 38 persone presenti all’interno dell’hotel. Una mattanza provocata principalmente dal ritardo della macchina dei soccorsi.

Nonostante lo choc della sentenza di ieri, secondo l’avvocato Gabrielli tutto il percorso processuale ha sempre dato segnali in questo senso, che si cercasse cioè una “via di fuga”. E questo "sia da parte degli imputati, sia da parte del sistema. Il fatto stesso che in 30 imputati si siano infilati tutti quanti, indifferentemente, nel giudizio abbreviato è quanto meno una scelta strategica abbastanza singolare e poco frequente. Perché l’abbreviato è una via alternativa a quello che è il processo ordinario, con tutte le facoltà difensive piene che si possono avere e che invece nell’abbreviato sono contenute agli atti processuali”.

Una sorta di strategia, quindi, una scelta processuale basata sostanzialmente – secondo l’avvocato Gabrielli – sull’esito della perizia disposta dal giudice sull’incidenza causale del terremoto nella verificazione della valanga. Questa perizia, in effetti, “aveva dato dei riscontri parzialmente positivi in favore degli imputati: i periti nominati dal giudice hanno risposto - contrariamente a tutte le consulenze del pm e di noi di parte civile - che il terremoto aveva avuto un’incidenza nel distacco della valanga e quindi, in qualche modo, era un evento imprevedibile, eccezionale, straordinario rispetto a invece il distacco di una valanga causato solo dall’accumulo nevoso. Questo, tecnicamente, ci aveva molto preoccupato, perché dare la colpa al terremoto significa dire che non è colpa di nessuno”.

Adesso il giudice ha 90 giorni di tempo per depositare le motivazioni della sentenza. Solo a quel punto le parti civili avranno la possibilità di conoscere le ragioni di una decisione del genere che, di fatto, appare come un colpo di spugna su una delle pagine più avvilenti della cronaca degli ultimi anni. Ciononostante, l’avvocato Massimiliano Gabrielli si sente in grado di fare una previsione: “sappiamo già che l’assoluzione di tutti dai reati di disastro colposo e dagli altri reati è perché il fatto non sussiste, quindi, evidentemente, il giudice ha ritenuto che la valanga di per se fosse un evento straordinario e non prevedibile e quindi l’ha portato ad assolvere tutti gli imputati. Quello che fa un po’ più rabbia è che al di là del fatto causale della valanga, si sia arrivati alla cancellazione delle responsabilità su tutto ciò che è seguito all’evento”.

L’avvocato si riferisce alla macchina di gestione dell’emergenza che non ha funzionato: “ieri in aula chi urlava più forte è un uomo che è rimasto 62 ore sotto le macerie e sotto la neve. Se fossero arrivati i soccorsi, come ci si aspetta, qualche ora, massimo 24 ore dopo il fatto, sicuramente in molti altri si sarebbero salvati”.

Ma oltre alla macchina dei soccorsi, in questa sentenza non si è tenuto conto di un altro aspetto importante: “Nel corso delle ore e dei giorni successivi c’è stata un’attività di copertura sul malfunzionamento della macchina dell’emergenza nella provincia, nella protezione civile, nella prefettura. Tanto che i pm hanno contestato al prefetto e a un’altra serie di soggetti il reato di depistaggio, proprio perché quando gli venne richiesto di trasmettere tutti i documenti e le carte sulla gestione dell’emergenza, sono arrivate le carte con pezzetti del brogliaccio strappati, proprio quelli dov’era appuntata la telefonata in cui dall’hotel si chiedeva ripetutamente di venire a liberare la strada per far andare via le persone che erano terrorizzate dal terremoto”.

Giustificato, dunque, lo sconforto dei parenti delle vittime. Viene da chiedersi se quanto avvenuto ieri per il processo sul disastro di Rigopiano sia un unicum o se si tratti di un meccanismo ricorrente quando si affrontano processi per grandi disastri. Massimiliano Gabrielli, che come già detto ha una lunga esperienza di battaglie a fianco di tanti Davide che si trovano al confronto con dei Golia apparentemente invincibili, ci ha dato il suo parere: “Diciamo che nei processi sui grandi disastri, quando le procure puntano ai vertici societari, ai vertici delle aziende, ai vertici delle amministrazioni e, in questo caso, ai vertici di un pezzo dello Stato, quale è la prefettura e il prefetto Provolo, è evidente che poi scattino dei meccanismi di protezione sul funzionamento di certi uffici e certe poltrone”.

Prosegue l’avvocato Gabrielli: “È chiaro che se un prefetto dovesse rispondere con una condanna per 12 anni di galera, com’è stata la richiesta del pm, per una valanga sotto il territorio che deve monitorare, così come se un amministratore delegato dovesse rispondere per un disastro ferroviario; un vertice societario per il crollo di un ponte; un ammiraglio per il crollo di una torre di controllo, nel caso in cui tutti questi soggetti di vertice assoluto debbano rispondere penalmente e personalmente di fatti che si verificano sotto il loro controllo in modo così pesante, c’è il rischio che poi nessuno voglia fare il prefetto, nessuno voglia fare il sindaco, nessuno voglia fare l’amministratore delegato. Quindi c’è il rischio che il sistema non funzioni. Il retro pensiero è che comunque qui si sia messo in discussione un pezzo dello Stato e lo Stato non condanna se stesso”.

Una cosa però è certa: i famigliari e le vittime che ieri hanno urlato il loro sdegno e quelle che hanno incassato silenziosamente non si arrenderanno. Quello che richiedono è un’affermazione delle responsabilità per un sistema di protezione civile, un sistema regionale, un sistema comunale che non ha funzionato, per far si che una cosa del genere non accada mai più. “Quello che sicuramente faremo all’esito della lettura delle motivazioni della sentenza”, ci dice Massimiliano Gabrielli, “sarà valutare un appello, puntando sul bersaglio grosso di chi ha avuto delle responsabilità – secondo noi – palesi e estremamente documentate attraverso il lavoro ben fatto della procura, tanto che le richieste di condanna da parte dei pm non erano simboliche, erano richieste a pene molto severe, proprio a fronte di una colpa grave, quasi a sfiorare il dolo eventuale. E quindi valuteremo la proponibilità di un appello contro questi soggetti. Non ci fermiamo, le famiglie non intendono fermarsi qui. Non basta il risultato ottenuto, non è quello che speravano di avere. È una giustizia parziale e simbolica.

E non è quello che vogliono”.

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