Confermata la condanna ai cinque poliziotti imputati al processo d'appello bis nell'ambito dell'inchiesta sull'espulsione dall'Italia, avvenuta nel 2013, di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, rispettivamente moglie e figlia - allora di appena 6 anni - di Mukhtar Ablyazov, dissidente kazako ricercato dalle autorità del suo paese.
È la decisione dei giudici della corte d'Appello di Firenze. Per tutti l'accusa era di sequestro di persona. Gli ex capi della squadra mobile e dell'ufficio immigrazione della questura di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta e gli ex funzionari di polizia Luca Armeni, Francesco Stampacchia sono stati condannati a 5 anni di reclusione, mentre Vincenzo Tramma a 4 anni. La procura generale e le difese dei cinque poliziotti avevano chiesto l'assoluzione perché "il fatto non sussiste".
La vicenda risale alla notte tra il 28 e 29 maggio 2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia vennero prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Roma: le forze dell'ordine cercavano il marito, ma alla donna fu contestata l'accusa di possesso di passaporto falso. Due giorni dopo, firmata l'espulsione, madre e figlia vennero rimpatriate. La donna e la figlia sono poi tornate in Italia e a Shalabayeva nell'aprile 2014 è stato riconosciuto l'asilo politico.Il nuovo processo si era reso necessario dopo che il 19 ottobre del 2023 il collegio di giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione avevano annullato le assoluzioni dei cinque poliziotti rinviando gli atti a Firenze. Nella vicenda erano coinvolti anche un altro funzionario di polizia e l'ex giudice di pace Stefania Lavore, che erano già stati assolti in via definitiva perché la procura generale di Perugia per loro non aveva presentato ricorso in Cassazione. In primo grado i cinque poliziotti erano stati condannati a Perugia per sequestro di persona a pene comprese tra i 4 e i 5 anni.
Rispetto alla sentenza di primo grado le condanne sono le stesse, ma è stata riformata la parte che riguarda l'interdizione dai pubblici uffici, che è passata da perpetua a 5 anni per tutti gli imputati. In aula questa mattina erano presenti sia gli imputati che Alma Shalabayeva. Dopo la lettura del verdetto la donna ha ringraziato i suoi legali limitandosi a dire che "la sentenza è giusta".
“Il giorno in cui cinque servitori dello Stato vengono condannati senza che venga riconosciuta la complessità e la gravità del contesto in cui hanno operato, è un giorno che aggiunge una ferita alla Polizia di Stato", commenta Domenico Pianese, segretario del Sindacato di Polizia Coisp, "Una decisione che rispettiamo, ma che non possiamo fingere di non vedere per ciò che rappresenta, ovvero l’ennesima sentenza che guarda alla superficie e non al quadro reale. Quella del caso Shalabayeva è stata un’operazione gestita in poche ore nel rispetto delle ordinarie procedure. Quei poliziotti sono stati chiamati ad agire e hanno agito, adempiendo al proprio dovere in un contesto operativo estremamente complesso.
Il punto è che oggi, dieci anni dopo, vengono condannati come se fossero stati loro i decisori, mentre chi ha avuto responsabilità di livello superiore liquida tutto parlando di ‘irregolarità procedurale’, come fosse un semplice inciampo burocratico.