Maradona umiliato post mortem da una giudice “filmmaker”

Processo azzerato per un motivo che non ha precedenti nei tribunali

Gianina e Dalma Maradona
Gianina e Dalma Maradona
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Nell’avvilente saga del Maradona post mortem ci mancava solo la giudice “filmmaker”. Lo show macabro deve continuare anche con Diego ormai sotto terra da 5 anni: per lui non c’è pace, neppure nella tomba. La ragione dell’annullamento del processo in Argentina contro i medici che «hanno contribuito a far morire Diego Armando» sono uniche nella storia della giurisprudenza. Il motivo dell’azzeramento della causa (che ora dovrà ricominciare ex novo) dopo mesi di udienze? Uno dei tre giudici, la togata Julieta Makintach, del tribunale chiamato a sentenziare sulle responsabilità dell’équipe che aveva in cura il Pibe de Oro, è stata rimossa dal ruolo in seguito allo scandalo sulla sua partecipazione a un documentario sul processo ai camici bianchi che avrebbero dovuto aiutare Diego a riprendersi da un’operazione devastante alla testa e invece lo hanno lasciato morire (data del decesso: 25 novembre del 2020, refero: «edema polmonare acuto») dopo settimane di agonia. Una via crucis patita dal più grande calciatore al mondo senza che nessuno (parenti, amici, conoscenti, mass media, opinione pubblica) si accorgesse di nulla; circostanza incredibile considerato che Maradona era uno dei personaggi più conosciuti e seguiti in Argentina.

Com’è stato possibile quindi che un personaggio globale del calibro Diego sia stato lasciato morire in solitudine al pari di un reietto della società all’interno di un appartamento sporco e senza un minimo di assistenza decente? Il processo stava facendo luce su questi aspetti sconcertanti. Domande scomode che fanno vergognare il suo paese reo di non aver visto, o voluto vedere, per ragioni forse inconfessabili lo strazio di una sua icona. Ma il destino di Maradona è di essere “dannato”, da vivo e da morto: prima umiliato da chi doveva tutelare il suo benessere fisico (i medici) e adesso sfregiato da chi era istituzionalmente deputato a rendergli giustizia. E invece abbiamo assistito nelle ultime ore a un colpo di scena incredibile: una magistrata che autorizza a riprendere di nascosto le fasi più crude del processo; testimonianze impietose e immagini choc che sarebbero poi diventate materiale da spettacolarizzare in un docufilm dal titolo «Giustizia Divina» di cui la stessa giudice sarebbe stata protagonista con “interventi diretti”. Sembra il frutto di un delirio, invece è tutto drammaticamente vero.

Le prove? Gli operatori, sorpresi in aula dalla polizia, armati di telecamera che hanno sostenuto di “essere stati autorizzati dalla giudice Makintach” oltre al ritrovamento del “copione” del serial e al trailer in cui la magistrata compare al lavoro ricostruendo le fasi più scabrose della morte di Diego. Uno storytelling nero su bianco di svariate pagine dove la Makintach già affermava che «Maradona è stato ucciso». Insomma, una sorta di anticipazione della sentenza da parte di un membro del collegio giudicante che, come inevitabile conseguenza tecnica, ha portato all’annullamento del processo. La giudice era stata estromessa dal suo ruolo martedì scorso alla ripresa del processo dopo una settimana di sospensione; poi gli altri due membri del collegio hanno accolto la richiesta di ricusazione delle parti e a quel punto la «validità» del processo è crollata come un castello di carte.

«La giudice non è intervenuta in modo imparziale. La sua condotta ha prodotto un danno sia per la parte querelante come per la difesa», ha sottolineato il magistrato Maximiliano Savarino annunciando l’annullamento dell’intero dibattimento e la decisione di riprenderlo con un nuovo tribunale a partire dalla dichiarazione dei testimoni. «Sento angoscia e tristezza ma dobbiamo guardare avanti.

Adesso dovremo tornare a testimoniare, ma se necessario lo faremo altre mille volte», hanno detto moglie e figlie di Diego. Intanto Maradona è stato tradito anche da chi doveva fare giustizia sulla sua morte assurda. E il timore è che, andando di questo passo, i responsabili della sua fine restino impuniti.

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