Messaggi in bottiglia dalla grande guerra: dopo oltre un secolo le parole di un soldato australiano

Dopo più di un secolo il messaggio scritto e affidato alle onde da un soldato australiano nel 1916 è tornato a riva, portando con sé una storia di determinazione e coraggio

Messaggi in bottiglia dalla grande guerra: dopo oltre un secolo le parole di un soldato australiano
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Non era una bottiglia Schweppes come le altre, quella ritrovata dopo oltre un secolo su una remota spiaggia dell'Australia, nei pressi di Esperance, a settecento chilometri a sud di Perth. Dentro il vetro sbiadito, che porta tutti i segni del tempo, era custodito un messaggio affidato al destino in un lontano e venerabile passato: quello vergato da un soldato australiano che il 15 agosto 1916 decise di scrivere un pensiero per sua madre, prima di affidarlo al mare, mentre era a bordo del bastimento che lo avrebbe portato – attraverso due oceani – verso la guerra che si combatteva in Francia, a più di diecimila miglia da casa sua.

Un foglio semplice, scritto con una buona grafia, larga e ordinata, che riporta le parole gioviali di un soldato pronto a servire il suo Paese per la causa universale: "Cara mamma, tutto va bene. Il cibo finora è molto buono, con l'eccezione di un pasto...", scriveva Malcolm Alexander Neville, 28 anni, originario di una piccola cittadina del South Australia. E poi ancora: "Mi sto divertendo molto", "La cara vecchia Ballarat" – la nave che lo stava portando in Gran Bretagna e che sarebbe stata affondata da un siluro appena un anno dopo – "sta barcollando e rollando, ma noi siamo felici come Larry". Firmato: "Il tuo amato figlio Malcolm, da qualche parte in mare".

Il messaggio chiedeva infine alla "persona che trova questa bottiglia" di inviare il contenuto alla madre, che lo attendeva nella piccola cittadina di Wilkawatt e non lo avrebbe mai più rivisto. Il soldato Neville, inquadrato nel 48° battaglione di fanteria, soprannominato "Joan of Arc battalion", rimase ucciso in azione nella battaglia di Bullecourt, l'11 aprile 1917. A onorare la sua richiesta, 109 anni dopo, è stata Debra Brown, la donna che ha ritrovato la bottiglia mentre raccoglieva rifiuti sulla spiaggia, si pensa smossa dalle dune sabbiose dopo una forte tempesta invernale. Mrs. Brown è riuscita infatti a rintracciare un pronipote del soldato attraverso il sito web dell’Australian War Memorial, consegnandogli il messaggio del soldato Neville, che oggi riposa in un cimitero militare di Londra.

La storia ha restituito il resoconto di un uomo determinato a servire il Commonwealth e l’Impero: "un uomo piuttosto interessante che ha tentato più volte di arruolarsi; inizialmente non gli fu permesso perché era troppo basso e aveva problemi di vista. Poi ha perseverato e, purtroppo, ha trascorso solo due mesi sul fronte occidentale prima di essere ucciso", ha raccontato, dopo le ricerche necessarie all’identificazione, il curatore dell’Australian War Memorial, Bryce Abraham.

Il non più giovane Malcolm, caparbio contadino del South Australia, non raggiungeva il metro e sessanta, ma ciò non gli impedì di unirsi al corpo di spedizione australiano. "Non tutti erano necessariamente così determinati. Lui era ansioso di fare la sua parte e voleva davvero arruolarsi e dare il suo contributo", ha proseguito il curatore del memoriale.

Come parte del famoso ANZAC – l’Australian and New Zealand Army Corps – il corpo di spedizione australiano combatté in Turchia, nel disastroso sbarco di Gallipoli del 1915, all’inizio della sanguinosa e fallimentare campagna contro l’Impero Ottomano, per essere poi rischierato sul fronte occidentale, sulla Somme e a Ypres, e su quello del Medio Oriente, dove le unità di cavalleria australiane si distinsero nella leggendaria carica di Beersheba.

Australia e Nuova Zelanda sono sempre andate molto fiere dei volontari e dei richiamati che risposero alla chiamata alle armi che proveniva dall’oltremare e che molto spesso, proprio come Malcolm Neville, sacrificarono la vita in terre lontane. Questo messaggio, giunto a destinazione dopo oltre un secolo, ce ne ricorda la ragione.

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