
"La voce critica dell'Occidente su Gaza". Così Le Monde ha definito Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, spesso al centro delle polemiche per le sue posizioni anti-Israele. Il quotidiano transalpino ha coccolato la diplomatica dell'Onu, presentata come una sorta di eroina solitaria, impegnata a "denunciare i crimini perpetrati da Israele nell'enclave", attirandosi così "accuse di sostegno al terrorismo". Effettivamente, secondo molti, la Albanese è sempre apparsa titubante nel definire Hamas come un'organizzazione terroristica. Ma andiamo avanti.
Nel suo ritratto, Le Monde ha rimarcato che la Albanese "è divenuta una delle voci della causa palestinese, vigile sui crimini commessi da Israele a Gaza e critica dell'atteggiamento occidentale sul dossier. Posizioni che le sono valse accuse di militantismo da parte dei detrattori". Non mancano le lodi sperticate come quelle del saggista Elias Sanbar, secondo cui "Francesca ha l’audacia di ricordare il diritto in un momento in cui la sua violazione è divenuta la norma".
Beniamina dei movimenti pro Pal, anche di quelli più radicali, la Albanese è accusata di non avere la neutralità richiesta dal suo incarico. Dalle dichiarazioni sui massacri del 7 ottobre 2023 ai silenzi sulle violenze contro gli israeliani, i casi si sono moltiplicati. Ma, come testimoniato dal sostegno alla Flotilla, la diplomatica non ha intenzione di fare passi indietro. Anzi. Ospite della Festa del Fatto Quotidiano, la quarantottenne ha affermato: “Dinanzi a questa brutalità non si reagisce con le contromisure previste dal diritto: fermare trasferimenti e acquisti di armi, sospendere gli accordi commerciali.
È un obbligo degli Stati”. E, ancora, ha definito Israele nei territori occupati “una dittatura militare che ha governato 5 milioni di persone attraverso ordini scritti da soldati e rivisti da corti militari composte da soldati”.