La crescente proiezione militare globale della Cina emerge con sempre maggiore chiarezza dall’ultimo report annuale del Pentagono, pubblicato sotto l’amministrazione Trump, che segnala un’evoluzione significativa nella presenza militare oltremare dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA). Per la prima volta, Washington riconosce che Pechino dispone ora di una presenza “operativa” in Cambogia, presso la base navale di Ream. Si tratta della seconda base ufficiale cinese all’estero, dopo quella inaugurata a Gibuti nel 2017. Secondo il Dipartimento della Difesa statunitense, il Dragone starebbe lavorando alla creazione di una rete globale di basi e infrastrutture logistiche in grado di sostenere operazioni militari a lunga distanza. L’obiettivo? Non necessariamente quello di replicare il modello statunitense di grandi installazioni permanenti, ma piuttosto di ottenere diversi livelli di accesso: basi con truppe stanziate, strutture condivise con i Paesi ospitanti, installazioni logistiche esclusive affiancate a infrastrutture commerciali o accessi temporanei a porti e aeroporti civili.
L'allarme del Pentagono sulla base cinese in Cambogia
In questo quadro, la base di Gibuti rappresenta un precedente chiave. Ufficialmente destinata alla protezione dei cittadini e degli investimenti cinesi all’estero, la struttura ha in realtà avuto un ruolo limitato in evacuazioni di civili o nella recente crisi del Mar Rosso. Al contrario, secondo il Pentagono, Gibuti ha consentito una presenza militare cinese continua nella regione, giustificata formalmente da missioni antipirateria ma sempre più orientata alla diplomazia militare e alla raccolta di esperienza operativa.
La situazione cambogiana appare ancora più delicata. Nell’aprile 2025, il governo di Phnom Penh e una delegazione del PLA hanno inaugurato il Centro logistico e di addestramento congiunto di Ream. Pechino insiste sul fatto che la struttura servirà a sostenere attività come antiterrorismo, risposta ai disastri naturali e assistenza umanitaria. Sia la Cina sia la Cambogia negano che il PLA possa schierare truppe permanenti nella base, pur ammettendo la presenza di personale essenziale per il funzionamento del centro. Tuttavia, prima dell’inaugurazione ufficiale, navi da combattimento cinesi hanno attraccato stabilmente a Ream a rotazione, un elemento che rafforza i sospetti di Washington.
La strategia di Pechino
Il Pentagono sottolinea inoltre che la Cina sta valutando ulteriori siti strategici per sostenere la proiezione navale e aerea, in particolare lungo le principali rotte marittime globali. Tra i Paesi menzionati figurano Gabon, Angola, Pakistan, Sri Lanka, Emirati Arabi Uniti e diverse nazioni africane e dell’Indo-Pacifico. Un’attenzione particolare è rivolta agli stretti di Malacca e Hormuz, passaggi cruciali per il commercio e l’energia globale.
Oltre alla dimensione militare, il rapporto evidenzia anche i rischi di controspionaggio legati alle infrastrutture cinesi all’estero. Secondo analisti accademici cinesi citati dal Pentagono, una rete logistica militare potrebbe facilitare attività di intelligence, in gran parte passive e difficili da individuare per i Paesi ospitanti, a supporto della consapevolezza situazionale del PLA sulle forze statunitensi e alleate.
Last but not least, il documento ha evidenziato come queste mosse da parte del Dragone si inseriscano in una più ampia strategia di influenza globale, volta a indebolire le alleanze guidate dagli Stati Uniti e a presentare Pechino come
un partner affidabile e cooperativo. Un messaggio calibrato su base regionale, che mira a rafforzare l’immagine della Cina come potenza responsabile, mentre Washington viene descritta come attore egemonico e inaffidabile.