Donald Trump ha confermato le indiscrezioni di New York Times, Miami Herald e Wall Street Journal, che nei giorni scorsi avevano scritto dell'esistenza di una chiamata con Maduro avente come oggetto il futuro del Venezuela e dello stesso Maduro.
Pur avendo rifiutato di entrare nel merito della telefonata, descritta nella maniera più asettica possibile - "non è andata né bene né male" -, Trump ha voluto rassicurare i presenti e gli ascoltatori: un'invasione del Venezuela non sarebbe imminente. Ciononostante, tra taglie, sanzioni e pressing militare, Maduro ha poco da festeggiare.
L'ultimatum di Trump
Secondo le gole profonde della stampa specializzata a stelle e strisce, la chiamata Trump-Maduro sarebbe avvenuta il 21 novembre e sarebbe terminata con un ultimatum dell'inquilino della Casa Bianca al successore di Hugo Chavez. Nello specifico, Trump avrebbe detto a Maduro che è ancora in tempo "per portare in salvo se stesso e quelli più vicini a lui", promettendogli un salvacondotto per la sua famiglia all'estero precondizionato alla rassegnazione delle sue dimissioni.
L'intenzione degli organizzatori della chiamata, che è stata la prima in assoluto dall'insediamento di Trump, era di spianare la strada a un incontro tra i due leader. Ma le richieste di Maduro, che avrebbe domandato "immunità globale" da ogni procedimento giudiziario e proposto un cambio ai vertici più che un cambio di regime, avrebbero fatto saltare il delicato quadro negoziale.
Dopo quella chiamata, risentito per il rifiuto di Maduro, Trump ha prima annunciato la chiusura dello spazio aereo venezuelano e avrebbe poi rifiutato una richiesta di telefonata pervenuta dal leader venezuelano. Stallo alla messicana. L'ultimatum è stato inviato, a Maduro la decisione di recepirlo oppure no.
Il dilemma di Maduro
Maduro e i vertici delle forze armate non sembrano temere il dispiegamento aeronavale al largo del Venezuela, e non è perché stiano sottovalutando la potenza di fuoco della US Navy. Pensano che quello di Trump sia un bluff e che quello lanciato il 21 novembre fosse uno dei suoi classici "penultimatum", come quelli lanciati decine di volte all'indirizzo di Vladimir Putin per spingerlo a negoziare sull'Ucraina, salvo poi non fare nulla dopo il superamento della data fatidica.
Bluff da poker o meno, ciò che invece è certo è che la pressione non-militare sul Venezuela è ai massimi storici: l'inclusione della famiglia Maduro e degli ufficiali bolivaristi e dei loro cari nell'elenco dei terroristi dei Dipartimenti del Tesoro e di Stato degli Stati Uniti non soltanto apre la finestra a scenografiche operazioni speciali sul territorio, ma li priva, soprattutto, di accesso ai canali tradizionali e non della finanza globale.
Nei fatti, la campagna di massima pressione sanzionatoria ha reso il Venezuela un intoccabile. Come se non bastasse, il cerchio di fuoco si sta trasformando in un vero e proprio blocco navale: nei giorni scorsi una petroliera cinese che stava dirigendosi nei porti venezuelani per fare il pieno di oro nero è stata costretta a tornare indietro dalla flotta della US Navy.
Trattato ufficialmente come un terrorista e privato di entrate, Maduro potrebbe davvero ponderare una via d'uscita. Sempre che riesca a far accettare a Trump un cambio ai vertici, dato che Washington sembra puntare a un cambio di regime.