Barbara Locci, la pista sarda, i crimini contro le donne. Cosa c'è di vero nella fiction sul Mostro di Firenze

La nuova miniserie Netflix Il Mostro scandaglia le ipotesi legate alla cosiddetta "pista sarda" del mostro di Firenze: uno squarcio dal passato molto efficace su una storia vera con alcuni elementi di finzione

Barbara Locci, la pista sarda, i crimini contro le donne. Cosa c'è di vero nella fiction sul Mostro di Firenze

Esce oggi su Neflix Il Mostro, nuova miniserie che racconta delitti e indagini del “mostro di Firenze”. L’opera, presentata alla 82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è diretta da Stefano Sollima, che scrive nelle note di regia: “Scegliere di raccontare questa storia significa decidere di calarsi in un territorio dove il male non ha più maschere e, nel tentativo di rappresentarlo, ti rendi conto che le parole, le immagini, rischiano di ferire, di tradire, di aggiungere altro dolore a quello già inflitto. Ogni dettaglio, ogni ricostruzione, ogni dialogo immaginato pesa come il piombo. La sensazione perenne che ci sia sempre qualcosa che ci sfugge”.

La miniserie tratta della sequela di omicidi compiuti nella campagna fiorentina tra il 1968 e il 1985, omicidi per cui si ipotizzò l’esistenza di uno o più serial killer. Il Mostro è sicuramente una miniserie da vedere, in particolare per le giovani generazioni che non c’erano. Sollima continua: “Avverti il pericolo dello scivolamento verso la morbosità che rischia di trasformare il dolore in intrattenimento e, all’opposto, la tentazione di attenuare l’orrore per renderlo più accettabile. Ma l’orrore, per essere davvero raccontato, va attraversato. Non aggirato. E la storia, per arrivare con chiarezza, senza sposare una tesi, deve cominciare dall’inizio. Perché raccontare con onestà, con rispetto, con rigore deve ancora avere un senso. Forse non per risolvere, non per capire, ma per ricordare”.

Di cosa parla Il Mostro

Le primissime scene de Il Mostro partono in medias res: è il 19 giugno 1982 e nelle campagne fiorentine il mostro di Firenze spara, con la sua Beretta .22 ad Antonella Migliorini e Paolo Mainardi. Quest’ultimo sopravvive miracolosamente, ma spira in ospedale: tuttavia alla gip Silvia Della Monica viene l’idea di rendere nota alla stampa l’eventualità, falsa, che la vittima abbia parlato, in modo da indurre il killer a fare un passo falso.

Contestualmente gli inquirenti trovano un trait d’union tra i delitti che fino all’82 erano stati attribuiti a una sola mano e quello di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, per cui aveva confessato, salvo diverse ritrattazioni, e per cui era stato condannato a 14 anni di reclusione il marito di lei Stefano Mele. A quel delitto sopravvisse il figlio di Locci, Natalino Mele, che, addormentato sul sedile posteriore, giunse successivamente a piedi a una cascina per chiedere aiuto.

Il personaggio di Barbara Locci è centrale ne Il Mostro. Tra ipotesi che si susseguono l’una dopo l’altra e backstory - che probabilmente contengono, come recita pure il disclaimer di ogni puntata, elementi di finzione modificati o aggiunti per fini artistici - Barbara Locci, interpretata da Francesca Olia, diventa un’eroina femminista in un mondo di violenza maschile.

E non è la sola figura femminile interessante: Silvia Della Monica, interpretata da Liliana Bottone, alla quale gli sceneggiatori fanno pronunciare la frase “Questi sono crimini contro le donne” - per via del particolare accanimento post-mortem che il mostro dedicava alle proprie vittime femminili attraverso l’escissione delle pudenda - lavora con pervicacia e attenzione, fino a finire nel mirino dello stesso mostro, che le invia una lettera contenente un lembo del seno di una delle vittime.

Che cos’è la “pista sarda”

Tra le tante ipotesi vagliate dagli inquirenti negli anni in cui si indagò sul mostro di Firenze, si parlò anche di “pista sarda”. L’omicidio Locci-Lo Bianco in effetti sarebbe maturato, secondo l’ipotesi, all’interno della comunità sarda residente nella zona della provincia fiorentina. Le stesse vittime, nonché il condannato Mele erano di origini sarde, così come pure altre persone a turno indagate o in custodia cautelare, tra cui Giovanni Mele, Francesco e Salvatore Vinci. Tuttavia, ogni volta che una di queste persone si trovava in carcere, il mostro tornava a colpire, tanto che alla fine la “pista sarda” venne abbandonata.

Di quella pista resta solo un’indizio fortissimo, legato poi a un’ulteriore ipotesi: l’arma, la Beretta .22 che ha ucciso Locci e Lo Bianco è con grandissima probabilità la stessa che ha compiuto gli altri 7 duplici omicidi attribuiti al mostro di Firenze: tuttavia il mostro sarebbe stata una persona diversa, non presente al delitto Locci-Lo Bianco. Resta pur sempre un’ipotesi, una suggestione mai provata del tutto, ma va ricordato che a Pietro Pacciani, condannato in primo grado nel 1994, venne comminato l’ergastolo con l’eccezione dell’omicidio del 1968.

Il resto è storia: Pacciani venne poi assolto in secondo grado nel 1996 e morì due anni più tardi. Vennero invece condannati all’ergastolo il “compagno di merenda”, come si definì lui stesso a processo, Mario Vanni (scarcerato nel 2004 per problemi di salute e deceduto nel 2009), e a 26 anni Giancarlo Lotti (scarcerato anche lui per ragioni sanitarie nel 2002 e morto pochi giorni più tardi). Nonostante i processi però, tanti dubbi restano ancora su questo caso.

Punti di forza de Il Mostro

Ognuna delle 4 puntate de Il Mostro inizia con una voce fuori campo: la tv diffonde le notizie degli omicidi e nella sigla si vedono le pagine dei giornali. Questo è un dettaglio che fa capire alle giovani generazioni cosa abbia rappresentato al tempo la vicenda del mostro di Firenze. Il sentimento di paura diffuso, di preoccupazione da parte dei genitori, di poca sicurezza erano legate anche all’effetto megafono dell’informazione, non ancora pervasiva come oggi, ma proprio per questo mezzo ancor più potente.

Le giovani generazioni vengono immerse nello zeitgeist, attraverso una colonna sonora molto interessante - che va da La tramontana, la canzone che Natalino Mele dice di aver cantato per farsi coraggio nella notte dell’omicidio materno, fino a White Rabbit dei Jefferson Airplane e Perfect Day di Lou Reed - ma anche la messa in scena, da parte di Horst Wilhelm Meyer, vittima del 1983 insieme a Jens-Uwe Rüsch sul loro camper Westfalia, del monologo di Rutger Hauer in Blade Runner, e un cartone di Calimero mandato in onda in tv. Non semplicemente uno sfondo ma un’aggiunta di realismo, in un tempo in cui i delitti di genere non erano ancora una statistica da aggiornare quotidianamente.

La miniserie non prende in considerazione tutto ciò che accade dopo il

1985, tranne per qualche parola sui processi successivi: da ciò che si sa al momento non sarebbe prevista una seconda stagione, ma non è da escludere che a molti appassionati di true crime non dispiacerebbe.

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