Le due stragi, la memoria di Donatella e la versione del mostro: 50 anni fa il massacro del Circeo

Il Circeo è una ferita di un'epoca, lo specchio di un patriarcato feroce, di una società che si accorge troppo tardi che le figlie e le sorelle non sono al sicuro nemmeno in una villa sul mare

Le due stragi, la memoria di Donatella e la versione del mostro: 50 anni fa il massacro del Circeo
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L’auto corre di notte lungo la Pontina. Tre ragazzi della Roma bene, vent’anni e l’arroganza di chi crede di possedere il mondo, inseguono un’idea oscura di divertimento. Ridono, fumano, guardano le due ragazze sul sedile posteriore. Donatella Colasanti e Rosaria Lopez hanno accettato di seguirli fino a San Felice Circeo, senza immaginare che quella strada segna il confine tra la vita e l’inferno. È settembre del 1975, l’Italia vive ancora l’illusione del benessere, la spensieratezza di una generazione che vuole lasciarsi alle spalle il piombo e le tensioni. Ma dentro quella villa bianca, a picco sul mare, il futuro si tinge di sangue.

Il massacro del Circeo dura trenta ore. Umiliazioni, violenze, torture. Rosaria morirà soffocata, Donatella sopravvivrà fingendosi morta, chiusa nel bagagliaio di un’auto, e sarà la sua voce, strozzata e disperata, a rivelare al Paese l’abisso. Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido diventano i mostri di una storia che ancora oggi non smette di far male.

Izzo, soprattutto lui, resta il volto del male. Biondo, arrogante, incapace di nascondere il compiacimento per il dolore che infligge. L’ergastolo sembra la fine, ma è solo un capitolo. Perché Izzo continuerà a vivere, a parlare, a raccontarsi. Non cerca perdono, non conosce pentimento. Anzi, ha bisogno di essere ascoltato, di trasformare il suo narcisismo in eco.

È qui che il libro di Ilaria Amenta, Io sono l’uomo nero. Dal Circeo a Ferrazzano, diventa un passaggio necessario. La giornalista decide di affrontare quell’abisso e lasciare che Izzo parli. Ne nasce un viaggio spaventoso dentro una mente che si compiace del male. Izzo rievoca i particolari delle torture con una freddezza quasi didattica, racconta il Circeo come se fosse stato un rito e non un crimine, e poi riapre la ferita di Ferrazzano, trent’anni dopo, quando, in semilibertà, uccise Maria Carmela Linciano e la figlia Valentina Maiorano.

Due stragi, due vite spezzate da una stessa mano, con la complicità di un sistema che ha creduto alla possibilità del recupero. Amenta non assolve, non giustifica, ma mostra. Registra la voce dell’uomo nero, la consegna ai lettori perché nessuno dimentichi quanto sottile sia il confine tra la giustizia e la follia di un errore.

Il Circeo non è solo una data di cronaca. È una ferita che definisce un’epoca. È lo specchio di un patriarcato feroce, di una società che si accorge troppo tardi che le figlie e le sorelle non sono al sicuro nemmeno in una villa sul mare. È la prova che il male non svanisce con il tempo, ma resta in agguato, pronto a colpire ancora se la memoria si addormenta.

Izzo è ancora in carcere, e lì finirà i suoi giorni. Ma le sue parole, filtrate dal libro, ci ricordano che il Circeo non appartiene al passato. È un fantasma che ci cammina accanto, una voce che ci sussurra quanto fragile sia la nostra idea di civiltà.

Il massacro del Circeo vive nella memoria di

Donatella, nel silenzio di Rosaria, nel sangue di Ferrazzano. Vive nel sorriso gelido di Izzo, che non ha mai smesso di raccontarsi. È la versione del “mostro” e anche questa serve a fare i conti con l’abisso dell’umano.

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