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"Ho dato io i sacchi neri a Lilly". Cosa non torna nel racconto del pizzaiolo

Un pizzaiolo avrebbe raccontato di aver dato lui dei sacchi neri a Liliana Resinovich. La donna fu trovata morta e avvolta in due sacchi: è una spinta verso l’ipotesi suicidiaria abbandonata da tempo?

Screen Quarto Grado
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Ci sono delle certezze ma anche tante domande nel giallo che circonda la morte di Liliana Resinovich. Una delle certezze riguarda il suo ritrovamento, avvenuto il 5 gennaio 2022, a due settimane dalla scomparsa, nel boschetto vicino all’ex ospedale psichiatrico di Trieste: la donna era parzialmente avvolta in sacchi neri, mentre la testa era avvolta in due sacchetti trasparenti per la spesa, tenuti insieme con un cordino lasso. I due sacchi neri erano di dimensioni diverse: uno 106 per 75 centimetri, l’altro 100 per 70 centimetri, entrambi privi di impronte - si era parlato della possibilità di un’impronta guantata, che si è scoperta essere la texture dei pantaloni di Resinovich.

Ma da dove venivano quei sacchi, che Lilly in casa non usava mai? Una risposta - tutta da verificare da parte degli inquirenti - potrebbe arrivare dalla testimonianza di un pizzaiolo triestino, Alfonso Buonocore, che, incontrando il vedovo - unico indagato per l’omicidio della moglie - Sebastiano Visintin, gli avrebbe raccontato, come ha riportato Il Piccolo di Trieste, che Resinovich gli avrebbe chiesto due sacchi alcuni mesi prima della sua scomparsa. Buonocore, la cui testimonianza sarebbe stata registrata da Visintin, dice di ricordare anche cosa i coniugi mangiarono quando la donna gli chiese il primo sacco, e afferma di aver taciuto finora perché “allora un amico carabiniere, informalmente, mi consigliò di farmi gli affari miei e di starmene fuori da questa storia”.

Altri tasselli della testimonianza vengono riportati dal Messaggero Veneto e dal Mattino di Padova. “Mi chiese se potevo venderle uno di quei sacchi neri. Ne ho recuperato uno e lei lo ha messo in borsa prima che arrivasse il marito”, ha spiegato Buonocore riferendosi a Resinovich. Il pizzaiolo avrebbe incontrato la donna mentre lui gettava l’immondizia, e il giorno dopo Resinovich gli avrebbe chiesto un altro sacco: “L’ho fatta entrare nel locale perché faceva freddo, le ho offerto un caffè e le ho dato un altro sacco. Mi voleva pagare 50 centesimi, ma le ho detto che l’avrei messo in conto a Sebastiano. Lei mi ha chiesto di non parlarne con nessuno”.

Adesso gli inquirenti dovranno appunto verificare questa testimonianza, a partire dal nome del presunto carabiniere che avrebbe consigliato al ristoratore di tenersi fuori dalla questione. Non solo: le circostanze della narrazione sono insolite. Non si tratta solo della richiesta dei sacchi, in vendita ovunque, ma anche il riserbo domandato al pizzaiolo. E infine il più grosso degli interrogativi: se i due sacchi donati facevano parte di una stessa partita, perché quelli addosso al corpo di Resinovich avevano dimensioni diverse?

Se la testimonianza dovesse essere provata, è possibile che si torni a valutare l’ipotesi suicidiaria, percorsa all’inizio dagli inquirenti, che ormai da tempo credono che quello di Liliana Resinovich sia stato un omicidio.

Le perplessità giungono anche dalla legale Federica Obizzi che assiste la nipote di Liliana, Veronica Resinovich: “Ogni volta che c’è una novità un po’ importante, poi c’è sempre qualcuno o qualcosa che in qualche modo tenta di rovesciare la situazione. È una cosa strana, anomala, assurda, che fa sicuramente pensare a una costruzione. Perché queste dichiarazioni dopo tanto tempo? E perché non farle in questura o in procura? Due giorni fa c'è stata la comunicazione della Cassazione del rigetto del ricorso per una terza autopsia. Dal punto di vista tecnico queste dichiarazioni andavano fatte prima in Procura e poi caso mai ai media, perché sono in corso indagini su un omicidio. Che qualcuno vada a raccontare ai giornali e allo stesso indagato lascia qualche dubbio”.

Nei giorni scorsi la Cassazione ha rigettato la richiesta di una perizia terza, per dirimere le differenze tra la prima consulenza medico-legale realizzata da

Fulvio Costantinides e la seconda, collegiale, realizzata da un team guidato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo. La prima consulenza propendeva per un suicidio, la seconda per l’omicidio.

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