"Vi racconto chi è Benno". Macuglia e quel "male dentro" di noi

L'intervista al giornalista-inviato di Quarto Grado che nel suo libro analizza nel dettaglio l'omicidio di Bolzano e il processo di primo grado in cui Neumair è stato condannato all'ergastolo

"Vi racconto chi è Benno". Macuglia e quel "male dentro" di noi

L’omicidio compiuto da Benno Neumair, condannato all’ergastolo a novembre 2022, ha innescato una sorta di revival nella cronaca nera. Ha fatto pensare agli altri omicidi dei figli ai danni dei genitori, ma anche, date le lettere che riceveva in carcere dalle “Bimbe di Benno”, a quel fenomeno che spinge alcune persone a invaghirsi degli assassini. E in tutto questo c’è anche un altro mondo, quello spesso bistrattato del giornalismo, un mondo che ha dimostrato più volte di avere un cuore.

Ci vuole distanza, certo, per fare il giornalista. Ma questo non significa che a un certo punto non si possa avere il coraggio di spegnere il microfono. Questa sensibilità, questa carezza, è stata adoperata da Matteo Macuglia, inviato di Quarto Grado, insieme con altri colleghi, il 18 giugno 2021, quando ci furono i funerali di Laura Perselli e Peter Neumair.

Macuglia ha scritto un libro intenso - “Il male dentro” per Rizzoli nella collana “I casi di Gianluigi Nuzzi”, che ripercorre appunto l’omicidio di Bolzano - un libro in cui il giornalista porta il lettore nel capoluogo altoatesino, attraverso tutte le tappe dal 4 gennaio 2021, giorno in cui Laura e Peter furono uccisi, fino ai depistaggi, alle bugie, alle confessioni del figlio Benno, il ritrovamento dei due corpi, il dolore e il bisogno di giustizia della figlia Madè.

“Madè - spiega Macuglia a IlGiornale.it - ha vestito per mesi le vesti dell’investigatore, aiutando i carabinieri a sbugiardare le affermazioni del fratello, a indirizzarli alle persone da sentire per trovare la verità, a trovare il punto dove potevano essere nascosti i corpi dei genitori”.

Macuglia, da dove viene il titolo del libro?

“Il titolo ha più livelli di lettura. Il più semplice: è una citazione diretta di Benno, che durante la sua seconda confessione disse di aver ucciso il padre perché si sentiva ‘male dentro’ e voleva silenzio. Inoltre è un tentativo di spiegare come mai in una famiglia normalissima, ordinaria - con due genitori che dopo 30 anni di matrimonio si amano ancora, con due figli che sono cresciuti avendo tutto ciò che potevano desiderare, dai viaggi allo studio fino alla possibilità di coltivare passioni - sia avvenuta una cosa incredibile, un duplice omicidio. Tra l’altro è rarissimo in Italia che due persone vengano uccise insieme per strangolamento a mani nude”.

Laura e Peter erano una coppia tipica per la loro generazione. Molti si saranno identificati in loro.

“Erano una coppia molto ordinaria, lontana da problemi socio-economici: insegnanti in pensione, dopo 30 anni che stavano insieme e si amavano ancora, facevano tutto insieme, pianificavano, viaggiavano, andavano in montagna, facevano mille cose. Erano molto conosciuti a Bolzano: il loro lavoro li aveva messi a contatto sia con la generazione dei loro figli che con quella dei genitori. Il fatto che una famiglia così imploda, all’improvviso e in questo modo, rende chiaro che le storie di cronaca nera, di cui mi occupo ogni giorno per lavoro, possono accadere a chiunque. Il male si annida un po’ ovunque, anche se ci sembra impossibile. Non possiamo mai dire: ‘A me non potrebbe succedere’”.

Ci sono stati altri casi di giovani che abbiano ucciso i genitori. Quali sono le peculiarità dell’omicidio di Bolzano?

“La prima particolarità assoluta è, come detto, la statistica su un duplice omicidio commesso a mani nude, che è in Italia rappresenta una percentuale infinitesimale. Inoltre Benno è rimasto a lungo libero: per quasi un mese ha cercato di depistare le indagini, commettendo però tanti errori e senza coprire interamente le tracce di ciò che aveva fatto. E poi ci sono i mesi, lunghissimi, che ci sono voluti per ritrovare i corpi di Peter e Laura. Un ultimo elemento è costituito dalla sorella di Benno, Madè: se Benno rappresenta una forma di male molto cupa e profonda, in questa storia abbiamo un contraltare, Madè che porta la bilancia in pari, con le sue parole buone, con il suo modo gentile e sensibile di stare al mondo nonostante la cosa terribile che le è successa”.

I legali di Benno sarebbero al lavoro sul ricorso in appello. Secondo lei, punteranno all'incapacità di intendere e volere?

“Sì. I testimoni sono stati sentiti tutti nel primo grado di giudizio. I legali promettono che non si parlerà solo di imputabilità, di capacità di intendere e di volere, ma quello sarà molto probabilmente l’argomento forte, la protagonista del prossimo grado di giudizio che arriverà. In ogni caso, non faccio l’avvocato, mi limito a raccontare quello che vedo”.

Cosa significa, nella pratica, che sia concessa o meno la non volontà di intendere e volere?

“Dipende da ciò che prevedono i giudici. Se Benno fosse stato giudicato incapace di intendere e di volere, sarebbe stato possibile che venisse affidato a una struttura, che lo prendesse in carico per un periodo variabile. Benno ha un disturbo della personalità che può essere rilevante, con un profilo di cura che gli può essere applicato, ma al tempo stesso, secondo i giudici della corte d’Assise nel primo grado di giudizio, il disturbo non ha influito sull’omicidio”.

Ovvero?

“In altre parole il disturbo non è stato la miccia che ha fatto esplodere questo omicidio. Dall’altro lato, senza fare giudizio di merito, se Benno fosse rimesso in libertà, bisognerebbe tenere conto che è stato giudicato socialmente pericoloso, in particolare per Madè, che, secondo i giudici, correrebbe il rischio di essere uccisa. Benno ha bisogno di una cura per quello che è possibile in base al suo disturbo, ma anche di rieducazione, perché al processo non ha mai mostrato pentimento per ciò che ha fatto”.

Lei ha incontrato Benno la prima volta quasi per caso, poi è riuscito anche a intervistarlo. Le va di spiegare ai lettori l’importanza giornalistica di quello che le ha raccontato?

“L’ho incontrato per caso, ma neanche tanto: ero vicino a casa sua, lo stavo cercando ma non rispondeva al citofono. Ero appena arrivato a Bolzano, non avevo un’idea precisa di questa storia, perché le notizie erano ancora troppo generiche. L’ho trattato come il figlio degli scomparsi. Ho trovato una persona molto fredda, ma è comune questo atteggiamento verso i giornalisti nei casi di cronaca nera. Anche Madè all’inizio è stata fredda con la stampa, ma successivamente abbiamo creato un rapporto”.

E poi?

“La seconda volta l’ho sentito al telefono, lungamente, per 25 minuti. È stata l’ultima intervista che Benno ha rilasciato, l’unica che secondo me ha rilasciato in maniera genuina. Ho trovato un ragazzo molto allegro, i suoi genitori erano scomparsi ormai da 10 giorni, i giornali parlavano ormai di ricerca di cadaveri. Ho trovato strano che ridesse per alcune domande e ho capito che in quel momento mi stava raccontando delle bugie. Al tempo stesso ho trovato manipolatorio il suo modo di fare, perché lui rispondeva a qualsiasi domanda ed era comunque molto convincente. Io non potevo sapere se era lui l’assassino, ma lui sapeva benissimo cosa aveva fatto. Non riuscivo a capire perché avesse voluto parlare con un giornalista, richiamandolo anche, dopo aver finito. Questa è la cifra della capacità manipolatoria di Benno, che si è vista con le sue donne, con i carabinieri, con i suoi famigliari”.

In questa storia c’è Madè, che ha “perso tutto”. Ci racconti un po’ di questa figura che appare essere la bussola morale della vicenda.

“La straordinarietà della figura di Madè si evince dalle primissime ore di questa storia. Di fatto Madè risolve il caso il 5 gennaio, con le prime chiamate che fa per capire dove sono mamma e papà, che non le stanno più rispondendo al telefono dalla sera prima. Madè quel giorno, quando vede che suo papà e sia mamma non solo non le hanno risposto, ma non hanno neppure visto i messaggi, dice subito: ‘Io ho capito che c’era qualcosa che non andava, di profondamente sbagliato, di terribile’. Durante i funerali dei suoi genitori dirà: ‘Mi sono sentita come un’antenna che ha perso il segnale’. Una frase forte”.

Tornando alle chiamate, cosa accadde?

“Madè chiama Benno per terzo, dopo aver cercato la zia e il vicino, e appena ci parla capisce che sta mentendo. Invece di piangere, disperarsi, avere un crollo emotivo, Madè vestirà per mesi le vesti dell’investigatore, aiutando i carabinieri a sbugiardare le affermazioni del fratello, a indirizzarli alle persone da sentire per trovare la verità, a trovare il punto dove potevano essere nascosti i corpi dei genitori. La missione di Madè diventa di consegnare il fratello alla giustizia, e anche al processo non sarà vittima, ma difenderà i genitori dalle accuse del fratello”.

Cosa hanno rappresentato per l’opinione pubblica le bugie, i depistaggi e i silenzi in tribunale di Benno?

“Per quanto riguarda Bolzano, la città è stata sconvolta da questo omicidio, perché è la tipica città in cui queste cose non succedono, sebbene in passato ci sia stato il famoso caso di Marco Bergamo. E Bolzano ha convissuto per un mese con un assassino libero. Per la città è stata una situazione ansiogena, anche per via delle ricerche dei corpi nell’Adige. Le persone andavano in bici sull’argine, mentre i pompieri, i cani molecolari, gli elicotteri, i droni continuavano le ricerche. Per l’Italia ha significato assistere allo svolgimento di una storia pazzesca, con colpi di scena incalzanti, con molte parti da scoprire”.

Ha dedicato una parte del libro alla vicenda umana di Peter e Laura. Crede che si sia parlato troppo poco delle vittime nella cronaca, approfondimenti a parte?

“In generale sì. È uno dei problemi della cronaca: ci si concentra sulle persone che sono vive, che possono parlare. Volevo raccontare la storia di queste due persone, ci tenevo moltissimo. Ho messo più di un anno per guadagnarmi la fiducia delle loro famiglie.

Era un mio desiderio che in questo libro ci fosse traccia di Laura e Peter, mi sembrava giusto restituire loro una dimensione umana, raccontare chi erano, cosa che nessuno è riuscito a fare in quei primi mesi del 2021, perché non c’erano le condizioni per farlo, e comunque spesso le vittime restano sullo sfondo di queste storie”.

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