Cronaca nera

Saman, cosa si nasconde dietro la confessione dello zio Danish

Ci sono ancora punti molto oscuri nella vicenda di Saman Abbas. Ne abbiamo parlato con Ebla Ahmed, presidente Nazionale dell’Associazione “Senza Veli Sulla Lingua”

Saman Abbas, cosa si nasconde dietro la confessione dello zio Danish

Il caso di Saman Abbas nei giorni in cui si parla di violenza sulle donne assume un significato ancora più importante. Perché se in alcuni Paesi come il Pakistan rurale questo tipo di omicidio "d'onore" viene giustificato e significa quasi quotidianità, l'omicidio è avvenuto in Italia all'interno di una famiglia che lavorava da tempo nel nostro Paese, lontano migliaia di chilometri da quei centri dove l’ignoranza e la mancanza di conoscenza fanno in modo che i matrimoni combinati siano ancora all’ordine del giorno. Sulla vicenda ci sono ancora molti punti interrogativi, soprattutto ora che è quasi acclarato che quel mucchio di ossa, "buttate" in una buca profonda tre metri, e ricoperte in modo che neanche i cani molecolari potessero rilevarne la presenza, siano di Saman.

Il primo è puramente cronaca, sul perché solo ora è stato rivelato il luogo della sepoltura e su come il Pakistan abbia arrestato da poco il padre di Saman per truffa, pur sapendo da sempre che l’uomo si nascondeva nel Punjab. Il secondo invece apre la strada ad un interrogativo ancora più inquietante, quello dell’integrazione di questo tipo persone, devi veri e proprio clan, nel nostro tessuto culturale. Se la mentalità di un adulto e dedito all’alcol come Shabbar il padre di Saman è più difficile da cambiare, fa molto riflettere il fatto che siano stati i giovani cugini, da anni nel nostro Paese, gli autori del suo assassinio.

Nonostante gli anni di permanenza in Italia, la nostra cultura, il nostro modo di vivere e la nostra libertà, non li hanno minimamente influenzati dal compiere un atto così atroce proprio come se si trovassero in Pakistan. Su questo punto è molto al dentro una giovane donna, Ebla Ahmed, Presidente Nazionale dell’Associazione “Senza Veli Sulla Lingua” che da 10 anni, oltre alla violenza sulle donne e di genere, si batte anche contro questo tipo di violenza ben definito: cioè i matrimoni forzati, e che con la sua associazione si costituirà parte civile nel processo che prenderà il via 10 Febbraio 2023. Con lei abbiamo ricostruito l’intera vicenda.


È passato un anno dalla scomparsa di Saman, perché solo adesso uno dei cugini in carcere ha parlato?


“La famiglia Abbas aveva giurato sul Corano che nessuno di loro avrebbe mai rivelato ciò che avevano fatto a Saman. Giurare sul Corano, libro sacro dei musulmani, come la Bibbia per i cristiani e la Torah per gli ebrei è un atto sacro. E sinceramente un giuramento sul "libro sacro" da questo tipo di persone o meglio criminali, lo vedo ridicolo. Il tipo di mentalità che approva i matrimoni forzati e uccide la donna se non sottostà a questo, non ha niente a che vedere con l’Islam. Questa conferma viene anche dal “lavoro” svolto da un Imam che in carcere ha sicuramente avuto molti incontri con il cugino Danish al punto di fargli capire che quello che hanno fatto non ha niente a che vedere con la religione, portandolo alla convinzione di aver compiuto un crimine, fino fargli rivelare dove si trovasse il corpo di Saman. Voglio sottolineare questo punto, perché da sempre con la mia associazione sostengo il ruolo fondamentale della scuola e dei luoghi di culto per l’integrazione. Sono quelli i posti dove lavorare per scardinare questo tipo di ideologia”.


Tutto però coincide anche con l’arresto del padre in Pakistan.


“La vicenda qui è ancora più complicata. Tutti sapevano che il padre di Saman si trovava nella zona rurale e retrograda del Punjab, dove esiste una grande protezione per questo tipo di crimini. Anche se ufficialmente sono vietate dalla legge, non vengono però considerati un reato. Un po’ come il delitto d’onore che esisteva in Italia fino a 30 anni fa. Il suo arresto per truffa possiamo vederlo come una sorta di escamotage. Dietro c’è stato un grande lavoro dell’Intelligence e della diplomazia italiana".


Ancora però non c’è l’ufficialità dell’estradizione ?


“Non ancora, ma se il corpo è quello di Saman, e non ho dubbi che lo sia, il Pakistan non potrà fare altrimenti. Questa almeno è la nostra speranza”.


È passato un anno dalla scomparsa di Saman perché il lavoro dell’Imam, non è stato fatto prima?


“Al momento non conosciamo le tempistiche. Quello che sappiamo è che lo zio Danish ha parlato con questo Imam che gli ha fatto rivelare il luogo di sepoltura del corpo. Però non possiamo sapere quanto tempo ci sia voluto per farlo. Non è un lavoro semplice, tutti loro avevano giurato sul Corano, e penso che l’Imam che incontrava Danish in carcere ha dovuto fare un lavoro abbastanza lungo per far comprendere che quello che avevano fatto non ha niente a che vedere con l'Islam”.


Quanti dubbi ci sono sul fatto che quello sepolto nel casolare sia il corpo di Saman?


“Nessuno, il posto è stato segnalato da Danish. Lui stesso nelle intercettazioni telefoniche dice alla compagna: ‘Ho fatto un buon lavoro’. Se non avesse confessato, il corpo di Saman non sarebbe mai stato trovato. Anche il luogo scelto è emblematico, al confine con un altro terreno. La cosa più assurda è che nella stessa azienda di frutta dove sia il padre che ì cugini lavoravano, ci sia ancora rimasto un altro cugino, che aveva più volte aggredito e schiaffeggiato Saman, perché non voleva sottostare al matrimonio forzato. Questo particolare era scritto sul diario della ragazza corredato da un foto dove si vedevano chiaramente i segni della violenza del cugino. Sicuramente sarà stato controllato, ma è comunque stato violento con Saman ed è libero".


Perché Shabbar Abbas il padre di Saman, dal carcere in Pakistan continua a dire che la figlia è viva?


“Nel suo paese si sente invincibile, perché sa benissimo che questi tipi di crimini in Pakistan, passano sottogamba. Inoltre penso che non sappia neanche della confessione di Danish. In ogni caso, anche se il corpo non fosse stato ritrovato, Saman non avrebbe avuto scampo in quella situazione e con quella famiglia. Non si può scampare ad un matrimonio forzato in quella cultura. La mia associazione lotta per sollecitare per queste ragazze, e ce ne sono tante in Italia, una rete di protezione. Saman aveva denunciato e si trovava in una Casa protetta, ma quando ha deciso di tornare a casa per riprendere i documenti doveva essere accompagnata da qualcuno e non lasciata sola. Ma non soltanto se fosse passata la proposta della "Legge Saman", Saman avrebbe potuto rifarsi i documenti senza andare incontro alla morte ritornando in quella casa a chiederli. Bastava recarsi alla polizia per chiederli. Dobbiamo sempre ricordare che Il matrimonio forzato è una violenza sia per le donne che per gli uomini perché non hai la libertà di scelta. Però mentre per un uomo in quella cultura c’è il perdono, per le donne no. Se ti rifiuti, come ha fatto Saman c’è la morte”.


All’inizio si era detto che il corpo della ragazza era stato fatto a pezzi e buttato nel Po


“Non sappiamo se in parte è così, ma non credo perché mettere il corpo direttamente nella buca non avrebbe lasciato traccia”


Dov’è Nazia Shaheen la mamma di Saman?


“La madre è in Pakistan, secondo me ancora nella zona del Panjab protetta dal “clan”. È una zona rurale e arretrata, dove tutti la pensano come gli Abbas. Per quella comunità se hanno ucciso la figlia perché non voleva sposarsi, hanno fatto la cosa giusta per l’onore. Non sono visti come criminali”.


Il ruolo della madre sta facendo molto parlare


“In quel tipo di cultura le mamme o le sorelle nei matrimoni forzati, hanno un ruolo importante, perché sono le esche. Mentre alcune di loro hanno fatto da scudo alle figlie o pur di difenderle hanno perso la vita, questo non è successo con Saman. Nazia Shaheen sapeva benissimo che fine avrebbe fatto la figlia quando insieme al padre l’ha consegnata in mano ai cugini. Per me non è assolutamente una vittima, ma è proprio colpevole al pari degli altri. Quello delle “esche” è un campanello d’allarme su cui lavora anche la mia associazione, per allertare le ragazze che si fidano della proprio madre/sorelle. Nazia Shaheen sorrideva mentre portava Saman incontro alla morte”.


Ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato mi sembra che la famiglia si stia dividendo accusandosi l’uno con l’altro


“È un punto molto importante. Questi tipi di cultura sono come i bulli. Quando sono insieme si sentono forti, presi singolarmente no. Fare il lavoro di dividerli è una cosa fondamentale. La mia associazione si costituirà parte civile nel processo che ci sarà Il 10 Febbraio 2023. Queste persone devono avere un pena esemplare, perché deve essere da monito a tutte le altre famiglie come loro presenti in Italia che quello che hanno fatto è un crimine che non puoi sfuggire dalla legge e anche se scappi ti prendono.

Proviamo solo a pensare come sia morta questa ragazza, uccisa dalla propria famiglia nel peggiore de modi”.

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