"È ostaggio del governo". Slitta ancora la decisione sul papà di Saman

Il padre di Shabbar Abbas ha affermato che la figlia è viva e ostaggio del governo. Intanto il fidanzato della giovane ha paura per i suoi congiunti

"È ostaggio del governo". Slitta ancora la decisione sul papà di Saman

Meno due. Prosegue il conto alla rovescia per l’inizio del processo per l’omicidio di Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana scomparsa a Novellara la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021. Il suo corpo è stato ritrovato a fine novembre 2022 in un casolare abbandonato a poche centinaia di metri dalla casa degli Abbas su indicazione dello zio Danish Hasnain. La polizia penitenziaria rivendica comunque, giustamente, il suo ruolo nel rinvenimento del cadavere, i cui dati potranno essere utili a ottenere giustizia e che ora potrà avere anche una dignitosa e pietosa sepoltura.

Al processo saranno presenti solo tre dei rinviati a giudizio, ovvero lo zio Danish e i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Mancheranno il padre di Saman Shabbar Abbas, arrestato in Pakistan e soggetto di un nuovo rinvio al tribunale di Islamabad, e la madre Nazia Shaheen che è ancora latitante. Alcune associazioni, come per esempio Penelope, si sono costituite parte civile, e lo farà anche Saqib, il fidanzato e connazionale con cui Saman aveva deciso di costruire un futuro insieme dopo essersi opposta al matrimonio forzato con un cugino, imposto dalla propria famiglia.

Il nuovo rinvio per Shabbar

Porta la data del 14 aprile 2023 la nuova possibile udienza per Shabbar a Islamabad. Possibile perché dal suo arresto, a novembre 2022, la causa è stata oggetto di numerosi rinvii. Vale la pena ricordare che il delitto d’onore è regolato sì in Pakistan da una legge, però l’opinione pubblica non è coesa sull’argomento, soprattutto quando tra gli imputati potrebbe esserci una donna. Per questa ragione molti esperti credono che non solo Nazia non sarà mai estradata, ma non sarà neppure catturata per un processo in Pakistan.

Tra le parti civili c’è rabbia e scoramento. Si mira ad avere una giustizia vera per Saman, ma questo avverrà se gli imputati potranno essere tutti giudicati in Italia. Deluso dell’ultimo rinvio anche Claudio Falleti, legale di Saqib. Falleti ha definito Shabbar “un ‘uomo’ che ha avuto il coraggio di dichiarare che la figlia sia ancora viva e ostaggio del governo italiano che la terrebbe segregata in una struttura in cui si predicherebbe la perdizione”. Non si comprende perché Shabbar prosegua con questa autodifesa, dato che il corpo della figlia è stato ritrovato, quindi la figlia è morta, e l’autopsia profonda cui è sottoposto lo farà “parlare”.

Saqib contro tutti

È proprio al governo italiano che Saqib Ayub e l’avvocato Falleti chiedono aiuto, in primis alla premier Giorgia Meloni e al ministro degli Esteri Antonio Tajani. Falleti ha detto a Repubblica: “Gli undici rinvii di udienza per la decisione sono scandalosi. Credo che la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani debbano dare seguito a quanto detto in passato. Ossia che la vicenda di Saman non può lasciare indifferenti. Ora che sono al governo, agiscano e convochi l’ambasciatore pakistano”.

Intanto Saqib promette che cercherà la giustizia a tutti i costi per la sua amata, cui è stata tolta la vita nel fiore degli anni. “Lotterò con tutte le mie forze perché Saman abbia vera giustizia. Dopodomani inizierà il processo e questo è un bene, ma io voglio che, se ritenuti colpevoli, non siano solo lo zio e i cugini a pagare, ma anche il padre e la madre”, ha detto.

Per Saqib Falleti ha deciso di rinunciare al riscontro economico, non si sta avvalendo neppure del gratuito patrocinio, perché il giovane “è determinato a fare qualcosa contro un retaggio tribale arcaico e violento che ha visto Saman morire per mano della suoi stessi famigliari”.

Intanto però Saqib ha paura e vorrebbe che i suoi famigliari venissero in Italia da lui, tanto più che Falleti ha offerto ospitalità. “Il rischio di una vendetta è alto - ha commentato Saqib - Anche per questo ho smesso di apparire in pubblico e in televisione. Ogni volta ricevevo minacce.

Al processo sarò parte civile, perché voglio che i giovani del mio Paese cambino, che capiscano il male fatto da vecchie e stupide tradizioni. Questo solo vorrei: giustizia per Saman e un po’ di felicità per i miei connazionali”.

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