"Sprovveduti", abbandonati, criminali. Viaggio nel manicomio dei killer

Il manicomio di Aversa racconta la storia della criminologia ai suoi albori. Ma fu anche un luogo di terapie pionieristiche, di redenzione

Leonarda Cianciulli, Andrea Rea e Franco Percoco
Leonarda Cianciulli, Andrea Rea e Franco Percoco

Visto da vicino, nessuno è normale” sosteneva Franco Basaglia, lo psichiatra che ha rivoluzionato il sistema di terapie per le malattie mentali in Italia e al quale si attribuisce, con la cosiddetta “legge Basaglia” del 1978, la chiusura dei manicomi. Visto da vicino, un ex manicomio è invece un contenitore di storie. Come l’ex manicomio di Aversa, diventato poi ospedale psichiatrico giudiziario (Opg), noto anche ai profani per aver ospitato alcuni killer passati alla storia della criminologia.

È difficile vedere da vicino l’ex manicomio di Aversa, non solo perché una parte necessita di restauri, ma anche perché le aree architettonicamente ottimali ospitano una “casa lavoro” con un gruppo di detenuti, reclusi per reati minori e pene brevi, e al tempo stesso affetti da patologie psichiatriche. Qui i detenuti sono però parte della storia della struttura, che fu pionieristica nell’ambito delle terapie, e che oggi utilizzano parte di ciò che la scienza salva dell’esperienza passata.

La storia del manicomio e dell’Opg

L’inizio della storia del manicomio di Aversa è datato 1813, quando dall’Ospedale degli Incurabili a Napoli, vennero spostati qui, in un ex lebbrosario, 40 malati, tutti uomini, mentre le donne vennero destinate all’ala conventuale del complesso che ospita la struttura. "L’idea di creare un manicomio, poi un ospedale psichiatrico giudiziario, è nata probabilmente con la struttura di Pozzuoli. Tuttavia all’epoca iniziò a farsi strada lo spunto di un luogo ampio, in cui ci fosse del verde, e che potesse essere raggiunto facilmente dalle due città principali della Campania” chiarisce la referente aversana e addetta stampa Fai, oltre che docente del liceo Siani Ilaria Rita Motti a IlGiornale.it.

La scelta dell’ubicazione cadde quindi su Aversa per ragioni di opportunità: Aversa era equidistante da Napoli e Caserta, quindi gli spostamenti risultavano più semplici, e inoltre la struttura disponeva di un ampio spazio verde. Questo spazio verde fu destinato, come accennato, a terapie pionieristiche: i degenti potevano coltivare un orto, ma anche dedicarsi ad attività artigianali, artistiche e ludiche.

Dal 1840 la struttura assunse la funzione di asilo, iniziando ad accogliere persone “abbandonate”, senza famiglia o senza un posto nella società. “Inizialmente questo era un luogo di accoglienza per ‘sprovveduti’. Con il tempo cominciarono però a giungere qui persone di tipologie diverse, tra cui anche i criminali affetti da effettive patologie psichiatriche. Fu a quel punto che si ritenne opportuno fare un distinguo tra i degenti innocui e quelli pericolosi, che presentavano tratti criminali” prosegue Motti.

Fu nel 1876 che invece il manicomio si trasformò, aggiungendo una sezione “maniaci”, in cui venivano ospitati i detenuti che si credevano affetti da malattia mentale, e la struttura divenne mista. A questo si aggiunse l’implementazione della colonia agricola, con ottime ricadute sulla salute dei pazienti. “Tenersi attive era fondamentale per queste persone. Per questo si ritenne che attività ludiche e lavorative dovessero trovare ben presto posto in questa struttura” aggiunge la docente. Nel 1980, quando entrò in vigore la legge Basaglia, il manicomio divenne Opg e tale restò fino al 2016, anno della sua chiusura.

I più celebri criminali nel manicomio di Aversa

Leonarda Cianciulli

La saponificatrice di Correggio è una delle più celebri serial killer della storia. Al secolo Leonarda Cianciulli, l'assassina uccise tre donne tra il 1939 e il 1940: le vicine di casa Faustina Setti, Francesca Soavi e Virginia Cacioppo. Disse (e scrisse) di aver agito allo scopo di fornire un sacrificio alla Madonna, per salvare uno dei figli dalla leva obbligatoria durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la condanna fu nel manicomio di Pozzuoli, ma la perizia psichiatrica venne eseguita dal professor Filippo Saporito proprio nel manicomio di Aversa.

Franco Percoco

Nel manicomio di Aversa fu per un periodo, dopo la sua scarcerazione nel 1977, Franco Percoco, noto anche come il mostro di Bari. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1956 uccise dapprima i suoi genitori e poi il fratello Giulio, che era disabile. Sebbene per tutte e tre le vittime si trattò di overkilling, si ritiene che Percoco abbia mostrato scrupoli nell’omicidio del fratello. L’uomo sigillò i tre corpi in una stanza e continuò a vivere in casa e a trascorrere del tempo con la fidanzata e gli amici. Da Aversa venne dimesso poiché guarito. In effetti non commise mai più neppure piccoli reati minori, dei quali si era macchiato prima e dopo gli omicidi.

Andrea Rea

Quando Andrea Rea fu “ospite” ad Aversa, tra il 1999 e il 2003 la struttura non era più un manicomio, ma un ospedale psichiatrico intitolato al professor Saporito. Chiamato “il mostro di Posillipo”, Rea fu condannato a 15 anni per l’omicidio di due donne nel 1983 e nel 1989. È attualmente ospite in una Rems.

Un bene culturale, una storia

Al primo piano della struttura è ospitato il museo: qui si trovano oggetti che raccontano anche delle terapie e delle sorpassate credenze della psichiatria e della criminologia ai loro albori. Perché, se da un lato è vero che ad Aversa si provò a curare la malattia mentale con lo sport, la musica o l’orto, dall’altro venivano effettuate anche le terapie comuni a tutti gli altri manicomi dell’epoca.

Non solo, proprio come in tutti i manicomi, nel tempo anche ad Aversa furono ospitate persone con condizioni o caratteristiche che nulla avevano a che fare con la malattia mentale. Tra loro omosessuali - l’omosessualità è stata “depennata” dall’elenco delle malattie mentali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità solo nel 1990 - onanisti, persone con epilessia o neurodivergenze. Le donne potevano essere internate anche solo per una scarsa aderenza al modello eteronormativo, ovvero il rifiuto di quelle che al tempo erano chiamate "virtù muliebri": donne che erano ritenute da padri e mariti “pigre”, che svolgevano di malavoglia o non svolgevano affatto attività domestiche, potevano essere ritenute malate e internate.

Come e quando visitarlo

L’occasione delle giornate Fai di primavera ha rappresentato l’opportunità di visitare l’ex manicomio, anche grazie a guide d’eccezione, ovvero i ciceroni in erba del liceo scientifico Siani e dell’Its Andreozzi di Aversa, pronti a raccontare la genesi e l’evoluzione della struttura, senza dimenticare i dettagli artistici come uno splendido affresco in una volta afferente al chiostro interno all’edificio.

Grande attenzione per un piccolo museo, che racconta la storia delle persone oltre la struttura.

C'è un piccolo museo, ospitato in due ambienti del primo piano, che accoglie oggetti appartenenti a un recente passato - scrive Motti sul sito - Testimoniano l'inferno che gli internati, spesso persone affette solo da qualche disturbo che oggi non desterebbe alcun allarme, hanno vissuto”.

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