Sterminò la famiglia a Paderno Dugnano, il 19enne rinuncia all'appello

In primo grado Riccardo Chiarioni era stato condannato dal Tribunale per i minorenni a 20 anni di reclusione per aver ucciso i genitori e il fratello. Il legale: "Si sta rendendo conto di ciò che fa fatto, vuole espiare la pena"

Sterminò la famiglia a Paderno Dugnano, il 19enne rinuncia all'appello
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Non farà ricorso in appello Riccardo Chiarioni, il 19enne che nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre del 2024 uccise i genitori e il fratelli con 108 coltellate in una villetta a Paderno Dugnano, nel Milanese. In primo grado il giovane, che all'epoca dei fatti aveva 17 anni, era stato condannato dal Tribunale per i minorenni di Milano a 20 anni di reclusione, ovvero la pena massima prevista per il triplice omicidio nel processo con rito abbreviato. "Come avvocato, tenendo conto delle motivazioni della sentenza, dal punto di vista giuridico la difesa avrebbe proposto appello, perché errata sia per il mancato riconoscimento della semi incapacità, sia per la pena eccessiva in quanto erano state riconosciute le attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulle aggravanti", spiega all'Ansa l'avvocato Amedeo Rizza, legale del ragazzo.

Le motivazioni della sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado, emessa il 27 giugno scorso, non aveva tenuto conto della perizia psichiatrica, firmata dallo psichiatra incaricato dalla procura Franco Martelli, che aveva accertato per il giovane imputato un vizio parziale di mente. Nelle 51 pagine di motivazioni il gip del Tribunale per i minorenni Paola Ghezzi aveva evidenziato l'assenza di un nesso diretto tra la patologia di Chiarioni e il triplice omicidio. Da qui la decisione di infliggere al giovane il massimo della pena. Secondo il giudice l'allora 17enne "era guidato da un pensiero stravagante e bizzarro", ossia il "progetto" di raggiungere "l'immortalità attraverso l'eliminazione" della sua famiglia, come lui stesso aveva ammesso. E dunque "quando ha compiuto la strage", il cui reale movente resta ancora oggi un'incognita, avrebbero influito sia le "alterazioni" della sua personalità, sia una "grossa dose di rabbia ed odio narcisistici, accumulati ad ogni frustrazione". Per il gip l'imputato avrebbe agito con lucidità, programmando, attuando e variando le proprie azioni in base al suo bisogno "sia prima, che durante e dopo" lo sterminio.

"Vuole espiare la sua pena"

Il termine per l'impugnazione della sentenza di primo grado è scaduto lo scorso 4 novembre ma "Riccardo ha ritenuto, però, di non proporre appello", racconta il suo legale.

Il 19enne "si sta rendendo conto di quanto ha compiuto e vuole espiare la sua pena, continuare a seguire il percorso di cure nell'istituto minorile e quello universitario, perché sta studiando, e quando sarà inizierà una nuova vita". "La difesa - conclude l'avvocato Rizza - a questo punto non può fare altro che rispettare la volontà dell'assistito".

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