Cronache

"Temevo per mia figlia, ma il mio compagno era più importante": Alessia Pifferi resta in carcere

Il gip ha convalidato il fermo della 36enne escludendo l'aggravante della premeditazione dall'accusa di omicidio volontario. La difesa della donna: "Sognavo un futuro con il mio compagno"

"Temevo per mia figlia, ma il mio compagno era più importante": Alessia Pifferi resta in carcere

Alessia Pifferi, la mamma della bimba di 18 mesi trovata morta in un bilocale alla periferia est di Milano, resta in carcere. Lo ha deciso il giudice Fabrizio Filice che, questa mattina, ha disposto la misura cautelare per la 36enne, già reclusa da giovedì pomeriggio nella casa circondariale di San Vittore. Per il gip la piccola Diana "era la persona in assoluto più vulnerabile con la quale Alessia Pifferi si trovasse in relazione, e alla quale era, come in effetti è stato, facilissimo fare del male".

L'ordinanza del gip

Non ci sono dubbi di alcuna sorta sulle responsabilità della giovane mamma accusata di aver fatto morire la figlioletta lasciandola senza cibo né accudimento per una settimana. Il giudice per le indagini preliminari è stato chiaro al riguardo: "Alessia Pifferi ha avuto una condotta dall'impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva" nei confronti della bimba di quasi un anno e mezzo. Nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere il gip ha precisato altresì che la 36enne non si è limitata a prevedere e accettare "il rischio" che la piccola morisse ma, "pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente" lo ha voluto. La donna, sintetizza infine il magistrato nel testo dell'ordinanza, avrebbe potuto chiedere aiuto alla sorella ma non lo ha fatto per "paura" ed "orgoglio" seppur "sua sorella avrebbe potuto in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia".

"Forma di dipendenza psicologica"

Alessia Pifferi è accusata di omicidio volontario (nella forma omissiva) per futili motivi. Il giudice ha escluso dunque l'aggravante della premeditazione contestata dalla procura. Quanto alla relazione col fidanzato, il gip precisa che la giovane mamma aveva una "forma di dipendenza psicologica dall'attuale compagno, che l'ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell'inflizione di enormi sofferenze" alla bimba. La 36enne, secondo il magistrato, è "incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti" non mostrando "alcun rispetto per la vita umana".

La difesa di Alessia Pifferi

"Contavo sulla possibilità di avere un futuro col mio compagno - si è difesa la Alessia - E infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire: è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire". Stando a quanto scrive il Corriere.it, nel corso dell'interrogatorio di ieri la donna avrebbe raccontato anche di una non meglio precisata "discussione" col compagno. In quella circostanza "lui (il fidanzato ndr) ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa. - ha spiegato la36enne - Poi però ho visto che mi prendeva la mano e che si dirigeva verso Leffe (vicino a Bergamo, dove l’uomo vive, ndr), lì ho capito che saremmo tornati a casa sua e non ho detto niente". A questo punto "io avevo paura che la bambina potesse morire, ma dall’altra avevo anche paura sia della reazione, del giudizio negativo di mia sorella, sia della reazione del mio compagno. Se ora ci ripenso la mia percezione è che quelle due paure avessero pari forza senza che una prevalesse sull’altra". La donna ha raccontato che, da domenica sera, aveva il timore che alla piccola potesse accadere qualcosa: "Ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse, ma comunque mi auguravo che non succedesse.

Questo augurio nella mia mente un po’ era una specie di speranza, un po’ era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero".

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