È battaglia in tribunale sul profumo di D'Annunzio

Un’azienda veneta si sta difendendo a denti stretti dall’accusa di contraffazione e concorrenza sleale da parte di un erede e fino a questo momento ha avuto ragione

 È battaglia in tribunale sul profumo di D'Annunzio

Si sta consumando nelle aule dei tribunali la battaglia legale sul profumo del poeta Gabriele D’Annunzio. Un nuovo capitolo si è aggiunto ai precedenti sulla causa intentata nei primi mesi del 2018 dall’erede di un collaboratore del Vate contro una società che opera da oltre un secolo nel settore dei prodotti per la cura della persona. La Mavive e The Merchant of Venice, controllata dalla famiglia veneziana Vidal, si sta difendendo a denti stretti dall’accusa di contraffazione e concorrenza sleale e fino a questo momento ha avuto ragione. Secondo i giudici del tribunale di Milano, dopo il pronunciamento di quelli europei, non basta avere l’idea se poi questa non viene realizzata.

L’erede ricorrente ritiene che il nome del profumo commercializzato dall’azienda veneta in collaborazione con il Vittoriale, "Aqua Nuntia", la fragranza, il preparato e la forma della bottiglia siano stati ideati da D’Annunzio. La Mavive avrebbe ripreso il progetto rivisitandolo in chiave moderna, ma, di fatto, secondo l’accusa, si sarebbe appropriata indebitamente del prodotto. In realtà, però, la donna che si è rivolta ai giudici europei e milanesi, la quale chiede giustizia per il grande poeta, non ha mai immesso sul mercato il profumo e né mai lo ha pubblicizzato; si è limitata solo a una fase preparatoria. La legge prevede che dopo cinque anni di inutilizzo un marchio torna nella piena disponibilità di tutti.

Ed è proprio quello che successo con il profumo del Vate. Il tribunale di Milano ha confermato il giudizio dei magistrati europei respingendo le rivendicazioni dell’erede del collaboratore di D’Annunzio e accertando la decadenza del marchio italiano per mancato utilizzo. Un altro round a favore della Mavive e The Merchant of Venice, che però non sembra essere quello ultimo e decisivo. L’azienda veneta non può ancora cantare vittoria. In teoria, la ricorrente, che si è dimostrata molto agguerrita, potrebbe ancora rivolgersi in Appello. “La sentenza europea – spiega a La Nazione l’avvocato che difende l’azienda, Luca Giove, socio della Gr Legal - è definitiva, quella di Milano può essere oggetto di ricorso in Appello. Sul piano giuridico si tratta di una delle poco frequenti sentenze relative alla non rilevanza degli atti preparatori al lancio di un prodotto”.

A conferma che un marchio, fino a quando non viene conosciuto pubblicamente da più persone resta semplicemente un’idea, che ha un tempo stabilito per trasformarsi in progetto industriale, prima di finire nel nulla e di essere nuovamente a disposizione di chiunque voglia investire nella produzione e commercializzazione.

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