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Il boomerang dell'Antimafia

A non averla voluta cambiare, la legge, anche quando le proposte di modifica venivano da sinistra, è stata proprio la sinistra asservita all'intoccabile moloch dell'Antimafia

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E così, dopo lo scioglimento di un totale di 379 consigli comunali e 7 aziende ospedaliere dovuto alla legge del 1991 voluta da Giulio Andreotti e assai invocata da sinistra (fu necessario un decreto legge per fare più in fretta) e dopo altri scioglimenti come quello di Reggio Calabria nel 2012 e di Foggia nel 2021, e dopo, nondimeno, i 15 comuni sciolti dal governo Meloni, 4 dei quali di centrodestra, 3 di centrosinistra e il resto liste civiche, ecco: dopo di questo su Repubblica si legge che l'indagine prefettizia sul Comune di Bari diviene «Caccia agli oppositori» con Lega e Fi che «Usano l'antimafia per le loro campagne politiche», e con il Pd che sempre su Repubblica parla di «clava elettorale».

Detto questo, che la legge sullo scioglimento dei Comuni per mafia sia da decenni un potere antistorico e arbitrario lo sa chiunque ci capisca qualcosa, ma a non averla voluta cambiare, la legge, anche quando le proposte di modifica venivano da sinistra, è stata proprio la sinistra asservita all'intoccabile moloch dell'Antimafia.

Sentite che cosa diceva 4 anni fa Enzo Ciconte, ex deputato del Pci che nel 1991 mise mano proprio alla nascita della legge: «La scelta di sciogliere un'amministrazione è inevitabilmente politica... Tu sciogli organismi politici elettivi e questa decisione la fai prendere ad un organismo di governo». La ratio della legge è liberarsi degli amministratori collusi, questo non è avvenuto: «Ci sono comuni sciolti più e più volte. Cos'è, una tara di quel comune? È nel suo dna avere amministratori mafiosi? O il problema non riguarda tanto gli amministratori, quanto l'apparato burocratico?... Ci si è affidati alla magistratura per risolvere i propri problemi... Se il giornalista, anziché fare l'inchiesta, si affida alla velina della magistratura non fa il suo mestiere, fa un'altra cosa».

Ci sono due commissioni Antimafia che hanno segnatamente voluto evitare l'argomento: quella della piddina Rosy Bindi e quella guidata del grillino Nicola Morra, governi Letta 2013-2014, Renzi 2014-2016, Gentiloni 2016-2018, Conte 2018-2021 e Draghi 2021-2022. Una delle deputate che s'impegnò per cambiare le cose fu Enza Bruno Bossio del Pd, che nel maggio di due anni fa presentò in commissione Affari costituzionali una proposta di legge ancora pendente: la sua battaglia non fu appoggiata neanche dal suo partito, così come non lo era stata nelle due legislature precedenti, quando vi si erano associate la grillina Dalila Nesci e Iole Santelli di Forza Italia. Ai governi non interessò e i comuni furono ancora sciolti con disinvoltura: Paolo Gentiloni ne sciolse 38, Giuseppe Conte e Pd 31, Mario Draghi 20.

Una posizione ufficiale del Pd sul tema, frugando negli archivi, non la troverete. È un fatto che Rosy Bindi all'Antimafia (con Marco Minniti ministro dell'Interno e, fino al 2015, Graziano Delrio presidente Anci) manifestò un giustizialismo a linea che il grillino Morra ebbe solo a proseguire. La legge c'era, e ci si limitò ad applicarla senza proteste nazionali. Fu così anche per gli emblematici casi di Cassano allo Ionio (2017, ministro Minniti), di Amantea (2020, ministro Bonafede) e Rende (agosto scorso, ministro Piantedosi). Quale differenza tra allora e oggi? Risposta plausibile: ora l'indagine su un possibile commissariamento riguarda un comune ancora più grande di Reggio Calabria e con sindaco piddino (Bari ha 324mila abitanti) e a giugno ci sono le elezioni europee. Ogni azione e reazione è inquadrata in chiave elettorale.

Nessuno o quasi, due anni fa, badò al volume curato da Nessuno Tocchi Caino titolato «Quando prevenire è peggio che punire, torti e tormenti dell'inquisizione antimafia» laddove l'avvocato Pasquale Simari, esperto del ramo, rilevò «l'ampio margine di discrezionalità di cui godono gli organi governativi nel valutare i presupposti per lo scioglimento» nonché «la forte limitazione del diritto di difesa che subiscono le amministrazioni sciolte».

Fortunatamente nessuno, dieci anni fa, badò neppure alla proposta del procuratore Nicola Gratteri inoltrata a Palazzo Chigi: il periodo di incandidabilità degli amministratori presunti collusi andava prolungato, altro che garantismo.

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