Coronavirus

"Non segnaliamo alle Asl i positivi". È bufera sui test sierologici

Riuscire a nascondere il risultato non è difficile: "Basta non firmare il consenso alla segnalazione prima del prelievo". Ecco come l'Igiene pubblica viene lasciata all'oscuro

"Non segnaliamo alle Asl i positivi". È bufera sui test sierologici

Dividono la scienza e creano delle vere e proprie fazioni: da una parte c'è chi - come il virologo dell'Università di Padova Andrea Crisanti - pensa che possano essere "uno spreco di finanze, soldi buttati"; dall'altra c'è la convinzione che abbiano una notevole importanza epidemiologica. I test sierologici restano nel calderone delle incognite per quanto riguarda la fase 2: tutti sono consapevole che non posso sostituirsi al tampone in quanto non hanno valenza diagnostica, ma i risultati - come affermato dal ministro della Salute Roberto Speranza - possono consentire agli scienziati "di avere un'arma di conoscenza in più sull'epidemia". In questi giorni sono migliaia le persone che hanno deciso di sottoporsi all'esame, sia a quello col pungidito sia a quello con il prelievo.

Il test in questione è utile per sapere se, ora o in precedenza, siamo venuti a contatto con il Coronavirus. Gli anticorpi cercati sono le Immunoglobuline M (IgM) e le Immunoglobuline G: le prime si manifestano entro una settimana dalla comparsa dei sintomi e consentono di confermare con precisione la diagnosi di infezione; le seconde invece vengono prodotte dopo 14 giorni e costituiscono una sorta di "memoria immunitaria". I dubbi che permangono sono molteplici: possiamo utilizzarli come primo screening per poi indirizzare la diagnostica mediante tampone? La posizione di Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, è chiara: "Io non sono chiuso a nessuna prospettiva, ma al momento questa mi lascia perplesso. Il problema maggiore è essere in grado di fare subito il test molecolare, il tampone, altrimenti lasciamo abbandonate le persone in un limbo, con un punto interrogativo".

Risultati nascosti alle Asl

Ma in tutto ciò vi è un altro problema che rischia seriamente di allargare il contagio e dunque di farci tornare nuovamente nelle condizioni estenuanti del lockdown: in molte Regioni potrebbe esserci chi continua ad andare in giro nonostante abbia tracce di immunoglobuline nell'organismo. Come? Grazie a un "sistema" che risulta essere tutt'altro che complicato. Quasi tutti conoscono ormai bene il metodo del test sottobanco: "Se preferisce che non informiamo la Asl basta non firmare il consenso alla segnalazione prima del prelievo. E comunque noi preferiamo inviare direttamente al paziente il referto. Poi sta a lei decidere". Non essendoci un protocollo unico a livello nazionale, ogni Regione decide quali sono le regole da seguire. Ma non è raro trovare laboratori compiacenti: servono solamente poche telefonate. Per riuscire a nascondere all'Igiene pubblica l'eventuale risultato positivo dei test sierologici non serve inventarsi chi sa quali strategie: bisogna sfruttare il caos delle regole e il gioco è fatto.

Come riportato da La Stampa, la situazione è molto simile quasi dappertutto. In una clinica di Firenze ribadiscono che l'esame può essere fatto da privati o con la tariffa regionale calmierata. E se il risultato è positivo? "Il nostro unico obbligo è fornirle un numero verde da chiamare. Entro 48 ore le faranno un tampone. Ma è a sua totale discrezione". Le vedute sono completamente opposte a Massa-Carrara: "La clinica non ha opzioni, deve tassativamente comunicare la positività all'Asl". Ma a Livorno già si ritorna sui passi della riservatezza: "Il referto viene trasmesso via mail solo al paziente. Non inviamo segnalazioni. Capiamo la preoccupazione del paziente". Anche il responsabile di un centro di Verona non si nasconde: "C'è uno schemino e il paziente decide. Noi comunque consegniamo la risposta soltanto a lei". Pure a Salerno non si fanno scrupoli: "L'esito si vede solo sul nostro sito e le credenziali vengono assegnate a ciascun cliente. Non le vede nessun altro".

Una metodologia diversa è stata studiata e attuata a Caserta, dove il risultato viene fatto arrivare al medico di famiglia ma non alla Asl: "Poi sarà lui a decidere cosa fare".

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