Politica

Chi ha paura del voto popolare

A sinistra c'è un'inveterata cultura che considera il popolo, o meglio il voto popolare, un problema

Chi ha paura del voto popolare

A sinistra c'è un'inveterata cultura che considera il popolo, o meglio il voto popolare, un problema. Un riflesso condizionato che riemerge ogni volta che non piace il risultato di un'elezione o un quesito referendario. Enrico Letta, che ne è diventato il depositario, non poteva sottrarsi, per cui nel suo immaginario la vittoria dei «sì» ai referendum creerebbe solo guai. Una posizione semplicistica, visto che di riforma della giustizia si parla da quando io avevo i calzoni corti e tutti gli interventi legislativi sull'argomento sono stati all'acqua di rose. In sintesi, non hanno risolto un tubo: abbiamo un sistema che non funziona, strumentale, costoso e ingiusto. Anche la riforma Cartabia, malgrado la buona volontà della Guardasigilli, contiene solo palliativi. Nel frattempo la situazione continua a marcire, si è deteriorata anche l'immagine dei magistrati di fronte all'opinione pubblica e il malessere e l'impopolarità hanno cominciato a minare pure la «casta». Lo sciopero di lunedi è stato un flop.

Insomma, in questa palude ci vorrebbe una spinta popolare per mettere in moto un vero processo riformatore che intacchi gli interessi in gioco. Forse è l'unica strada. Naturalmente chi ha usufruito di questa situazione non sarà mai d'accordo e l'atteggiamento di Letta è tipico di chi non vuol perdere certi benefici. Quali? Un cordone sanitario di protezione che ha sempre salvaguardato la sinistra in tutte le sue forme ed espressioni. Su questo Giornale stiamo raccontando gli espedienti usati da Magistratura Democratica, la corrente delle toghe rosse, per salvaguardare l'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, icona della sinistra, dalle indagini e dal processo in cui è stato coinvolto. Un fulgido esempio dei «garantiti». Poi c'è pure la categoria numerosa dei «perseguitati dalla magistratura politicizzata», che risponde, va da sé, solo al richiamo della foresta della sinistra. Gli ultimi quarant'anni sono stati cadenzati da inchieste che hanno condizionato pesantemente la politica: Tangentopoli ha spazzato via tutta la classe dirigente della prima Repubblica risparmiando solo gli ex Pci e la sinistra Dc; Silvio Berlusconi ha subito una vera e propria persecuzione; e ora hanno cominciato pure con Matteo Salvini. E, ovviamente, sono finiti nel mirino anche quelli che - pur provenendo dalla sinistra - sono stati considerati eretici o traditori. Matteo Renzi ancora si lecca le ferite.

Quindi non c'è da meravigliarsi se chi ha goduto di una sorta di «salvacondotto» nella guerra giudiziaria che ha stravolto il Paese in questi anni abbia tutto l'interesse a mantenere lo «status quo». Né che abbia congiurato contro i referendum: sono stati liquidati dalla Consulta i quesiti che avrebbero più attirato l'attenzione dell'opinione pubblica; hanno impedito che il voto si svolgesse su due giorni, anziché su uno solo; e la campagna elettorale si sta svolgendo in sordina.

Ora Letta dice che la «vittoria dei sì creerebbe solo problemi». Certo: ai garantiti dal «sistema».

Invece, è vero il contrario: se i referendum fallissero, il Paese resterebbe nella palude e, peggio, deluso per aver perso l'occasione di avere una giustizia meno iniqua.

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