La morte corre su internet. Se da un lato questo strumento ha agevolato la comunicazione e il reperimento di notizie e nozioni, dall’altro è divenuto presto un “luogo” in cui cercare anche informazioni dannose, un “luogo” dove si nasconde anche gente senza scrupoli che lo sfrutta per causare la morte del prossimo. Per “suicidarlo”. Quello dei forum che spiegano come commettere un suicidio, in cui talvolta ci sono amministratori che seguono il percorso dell’utente verso la morte passo dopo passo, è un fenomeno preoccupante.
Tra le vicende più note c’è quella del 22enne Matteo Cecconi, che nel 2021 si è ucciso ingerendo nitrito di sodio, seguendo le istruzioni reperite in un forum dedicato al suicidio. Ci sono poi i fenomeni - come Blue Whale e Jonathan Galindo - relativi alle sfide pericolose lanciate in chat a bambini e ragazzini. Poi, lo scorso 18 maggio, c'è stata la vicenda della 31enne vicentina Marina Bodrick, che pare abbia acquistato una sostanza letale su internet per poi infilarsi un sacchetto in testa: starà all'autopsia stabilire se è morta per asfissia o avvelenamento. L'ipotesi è spuntata persino nel caso di Liliana Resinovich.
Ma non sempre la tecnologia può essere probante: “Il proposito di un atto così estremo radicato nella persona stessa va assolutamente ricercato altrove”, chiarisce a IlGiornale.it l’avvocato Antonino Polimeni, che annovera tra le sue specializzazioni vasta esperienza sul diritto del web.
Avvocato Polimeni, si configura qualche ipotesi di reato nel caso di siti o forum che spiegano come suicidarsi?
“Sì, l’ipotesi di reato configurabile sarebbe quella prevista e disciplinata dall’articolo 580 del nostro codice penale, rubricato in ‘istigazione o aiuto al suicidio’. Si consideri che la pena è aumentata qualora la persona istigata sia un minore oppure in uno stato di infermità psichica. Se la persona istigata è, invece, minore di anni quattordici o totalmente priva della capacità di intendere e di volere, si applicano le norme relative all'omicidio volontario (art. 575 c.p.)”.
Cosa può fare la legge italiana contro questi siti?
“Laddove la libera disponibilità del sito internet possa ‘ulteriormente aggravare e protrarre le conseguenze del reato ipotizzato’ - continuando di fatto ad apportare un supporto concreto e/o morale per il compimento di propositi suicidiari - su richiesta del pubblico ministero, il giudice competente può pronunciarsi nel merito e ne dispone con decreto motivato il sequestro preventivo. Accade mediante il cosiddetto ‘oscuramento’, che blocca la consultazione del sito da parte degli utenti per evitarne l’ulteriore utilizzo da parte degli autori del reato”.
Qualora i siti abbiano sede all’estero, il diritto internazionale prevede una tutela per gli utenti?
“Diciamo che la domanda è molto generica, sicuramente non c'è una normativa genericamente applicabile. Posso spiegare però, in poche battute, come funziona in Italia e quale sia lo strumento utilizzabile in casi ‘penali internazionali’. In Italia, infatti, preso atto dell’impossibilità di procedere al ‘materiale’ sequestro dei server esteri, si può comunque procedere all'oscuramento contro siti o portali stranieri, attraverso i quali vengono perpetrati palesi illeciti. Ad esempio, nel 2021, in un caso pertinente all’argomento di cui si discute (quello di Matteo Cecconi, ndr), la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha emesso il provvedimento che, almeno nel territorio italiano, inibisce a chiunque l’accesso al sito”.
Ovvero cosa accade?
“L'oscuramento di un sito internet estero, attuato attraverso un ordine di inibizione agli internet service provider italiani, deve essere seguito da apposita rogatoria nel Paese ove è allocato il sito altrimenti gli effetti del ‘blocco' saranno solo temporanei. La rogatoria non è nient'altro che una richiesta avanzata da una autorità giudiziaria (civile e penale) quando, nel corso di un processo, debbano eseguirsi atti processuali in un luogo che si trovi all'estero, e dunque fuori della sua competenza territoriale, affinché vengano compiuti dalla competente autorità nazionale (rogatoria interna) o straniera (rogatoria internazionale)”.
Si ritiene che analizzando il tablet di Liliana Resinovich, qualora si trovassero ricerche inerenti al suicidio, l’ipotesi più probabile della sua morte potrebbe essere quella. In base alla sua esperienza, una ricerca può o non può essere fondamentale in caso di suicidio?
“Diciamo che tutti cerchiamo tutto su internet, le cose più curiose, le più strane. Una ‘ricerca' non può qualificarsi mai come fondamentale né assurgere a prova di alcunché. Può diventare, questo sicuramente, elemento a supporto di un ventaglio di prove che sia però già ampio e sostanzioso. Il proposito di un atto così estremo radicato nella persona stessa va assolutamente ricercato altrove”.
In questi anni si è parlato di presunte istigazioni al suicidio o alla strage in chat. Le storie raccontate, dalla Blue Whale a Jonathan Galindo, interessavano i minori. Cosa si può fare in questi casi?
“Prevenire, attraverso l’applicazione di appositi filtri su pc/tablet/cellulare rispetto a determinati contenuti online; educare i minori stessi al giusto utilizzo di internet; supervisionare maggiormente le attività compiute online dagli stessi. Sono precetti cui i genitori e i contesti scolastici attuali non possono sottrarsi”.
Qual è il ruolo della polizia postale, che sappiamo essere in Italia un comparto d’eccellenza, in questi ambiti?
“Il ruolo della Polizia Postale e delle Comunicazioni (corpo speciale di Polizia di Stato) è quello di rintracciare i profili degli autori di reato, compiere attività di prevenzione (attraverso un intenso e costante monitoraggio della rete), controllo e repressione
degli illeciti penali operando a stretto contatto con l'autorità giudiziaria italiana. In questi casi, ma non solo, il lavoro di supporto alle indagini svolto da tale corpo di polizia è determinante oltre che fondamentale”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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