Il delitto di Garlasco

Il dna sotto le unghie di Chiara: di chi è e perché può cambiare tutto

Quando, nel 2016, il dna di Andrea Sempio viene trovato sotto le unghie di Chiara Poggi nel caso di Garlasco sembra registrarsi una svolta clamorosa. Eppure, pochi mesi dopo, la sua posizione viene archiviata. Il dna rilevato sotto le unghie era troppo degradato. Ma è davvero così?

Il dna sotto le unghie di Chiara Poggi: di chi è e perché può cambiare tutto
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Cercare di far luce su aspetti poco chiari di un caso di cronaca nera impone delle serie riflessioni preliminari. Il giornalista dev’essere conscio della responsabilità – prima di tutto morale – che grava sulle sue spalle e sulla sua coscienza. Scavare negli atti, evidenziare le incongruenze, tentare di unire i puntini per giungere a una rilettura degli elementi non deve distogliere dal fatto che in ballo c’è la vita delle persone.

Nessuno vuole che qualcun altro possa vivere il calvario vissuto da Alberto Stasi. Nessuno. Dietro un articolo di giornale ci sono storie di vita quotidiana, persone che da un giorno all’altro rischiano di vedersi sbattute in prima pagina. E non è una cosa da augurare nemmeno al peggior nemico. Ciononostante, non ci si può esimere dal raccontare i fatti quando essi sono così evidenti e plateali e, nonostante questo, sconosciuti ai più. Per questo, dopo lunghe riflessioni e uno studio attento delle carte, abbiamo deciso di tornare a parlare di Andrea Sempio e di ciò che è accaduto tra le fine del 2016 e il principio del 2017.

Gli elementi di sospetto su Andrea Sempio

In una recente intervista, abbiamo parlato con uno degli investigatori privati che, su mandato dei difensori di Alberto Stasi, nel 2016 svolse indagini difensive, individuando in Andrea Sempio – all’epoca del delitto [13 agosto 2007, dnr] diciannovenne e grande amico di Marco Poggi, fratello di Chiara – il possibile autore del delitto. Quello che non vi abbiamo raccontato è come tutto si sia concluso in un nulla di fatto. Ci arriviamo, ma riannodiamo il filo della vicenda.

Con una condanna definitiva a 16 anni di carcere, nel settembre del 2016 i legali di Stasi, convinti dell’innocenza del loro assistito e ormai senza altra possibilità se non questa, si rivolgono alla società di investigazioni private Skp Investigazioni & Servizi di Sicurezza srl.

Gli investigatori studiano gli atti e si rendono conto dei molti buchi investigativi rimasti aperti. Partendo da qui, arrivano a individuare Andrea Sempio come soggetto degno di attenzione. Fino a quel momento, il ragazzo era stato sentito due volte dai carabinieri. Una prima volta nel 2007, a pochi giorni dal delitto, una seconda volta nel 2008, un anno e due mesi dopo i fatti. È questa seconda deposizione che attira in particolar modo l’attenzione degli investigatori. Di fronte ai carabinieri, infatti, il ragazzo fornisce un racconto molto più dettagliato della volta precedente e alla fine, spontaneamente, offre agli inquirenti una prova a supporto del suo alibi per la mattina del 13 agosto 2007: lo scontrino di un parcheggio che certificherebbe la sua presenza a Vigevano nella mattinata. Proprio questa non richiesta solerzia nel certificare la sua estraneità ai fatti, unita alle condizioni intonse dello scontrino, fa scattare un’attività di monitoraggio mirata a scandagliare la vita di Sempio.

Le tre telefonate di Sempio a casa Poggi

A contribuire in maniera determinante nell’infittire sopra di lui la nube dei sospetti, quelle tre chiamate a casa Poggi effettuate mentre il suo amico, Marco, era già in vacanza e Chiara era sola in casa. Tre chiamate effettuate tra il 7 e l’8 agosto 2007, due di una manciata di secondi, una più lunga [21 secondi, ndr]. Sono le giustificazioni sulla ragione di questi contatti a non convincere gli investigatori della Skp [che conta personale proveniente dalle forze dell’ordine, ndr]: se Sempio giustifica la prima telefonata con un errore e le altre due per sapere dove fosse il suo amico, gli investigatori sostengono che non potesse non sapere che Marco Poggi era fuori, avendo passato con lui la sera precedente alla partenza per il Trentino e avendo organizzato con lui e altri amici una vacanza in Toscana da farsi proprio dopo il rientro di Marco Poggi.

Nonostante tutti questi elementi di sospetto, gli avvocati di Stasi non possono ancora permettersi di imbastire una richiesta di revisione. Di qui la necessità di trovare qualcosa che potesse collocare Sempio sulla scena del crimine. Entra a questo punto in gioco il Dna.

L’unico elemento rimasto senza un approfondimento era infatti quel na maschile ritrovato sotto le unghie di Chiara Poggi e, fino a quel momento, attribuito a soggetto ignoto. Che non fosse il dna di Alberto Stasi, infatti, era già chiaro dal 2014 e, in particolare, emergeva da una perizia tecnica svolta dal professor Francesco De Stefano, genetista dell’Università di Genova incaricato di svolgere queste analisi dopo quelle effettuate sui margini ungueali della vittima nel 2007 dai carabinieri del Ris di Parma, analisi, queste, che non avevano portato a nulla. Accenniamone brevemente.

Le analisi del 2007 del Ris di Parma sul dna e quelle del 2014

Nel 2007 i RIS avevano tamponato i margini ungueali [tutti tranne il mignolo della mano destra, perché troppo piccolo, ndr] con esito negativo per il dna maschile. Gli strumenti all’epoca a disposizione non erano certo quelli di oggi e i carabinieri si limitarono a togliere “lo sporco”. Il fatto che poi le unghie fossero intrise del sangue della vittima, impedì di accertare la presenza di altro dna che non fosse quello della stessa Chiara Poggi. Nel corso poi del processo di Appello di rinvio a carico di Alberto Stasi, nel 2014, l’avvocato della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni, chiede di effettuare nuove analisi sui margini ungueali della vittima avvalendosi delle nuove metodologie scientifiche a disposizione.

È qui che subentra il perito De Stefano. In questa occasione, le unghie di Chiara Poggi vengono “sciolte” in una soluzione, permettendo di isolare la presenza di dna precedentemente non rilevato. Fatta questa prima operazione, il ricavato viene eluito, pronto per essere analizzato.

Un primo test gli permette di rinvenire il dna di Chiara Poggi e certificare quindi la validità scientifica del metodo utilizzato. A questo punto si passa a cercare la presenza di dna maschile. Qualcosa esce fuori, per questo si decide di fare un test molto importante, che viene effettuato il 30 luglio del 2014. Da questo test cosa emerge? Emerge il profilo completo di un dna maschile.

Comprensibilmente, il 6 agosto il perito chiede di poter prelevare quanto prima un campione di dna di Alberto Stasi. Se fino a quel momento era mancata una prova regina della sua colpevolezza, la presenza del suo dna sotto le unghie di Chiara – per quanto fosse stato il suo fidanzato – avrebbe costituito l’ennesimo tassello di un puzzle che disegnava la sua colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”.

L’8 settembre 2014 Stasi si sottopone volontariamente al prelievo del dna e, sorpresa, quel dna estratto il 30 luglio risulta non essere il suo. Il perito a questo punto esegue un terzo test di replica, ma anche questo non permette di identificare quel dna come quello di Stasi. Morale della favola: nella relazione finale si legge che il dna prelevato dalle unghie di Chiara – il dna che ha consentito 3 test e il confronto con quello di Stasi – è troppo degradato per essere utilizzato e che, seppur chiaro che si tratti di dna maschile, non è possibile affermare né escludere che si tratti del dna di Alberto Stasi. O per farla ancora più semplice: si accorge che il dna era degradato e non utilizzabile per la comparazione dopo averlo utilizzato per la comparazione. Capitolo chiuso. Almeno fino al 2016.

Le perizie in ambito difensivo sul dna

Per capire la bontà della pista Sempio, dunque, si rende necessario prelevare il suo dna. Gli investigatori della Skp prelevano allora tre oggetti, uno da un cassonetto e due da un bar – una bottiglietta d’acqua, una tazzina per caffè e un cucchiaino – e, senza specificare quale sia la finalità di queste verifiche, né la persona sulla quale si sta indagando, li inviano al dott. Matteo Fabbri, dell’Istituto di medicina legale di Ferrara, per la sola estrazione del dna. I risultati vengono cristallizzati in una relazione del 1 dicembre 2016. A questo punto, il dna di Sempio viene inviato al professor Pasquale Linarello, genetista e ufficiale biologo del Ris in congedo. A Linarello – a cui non vengono inizialmente forniti dettagli sulla natura di quegli accertamenti – vengono consegnati anche i campioni di dna maschile isolato nel 2014 dal dott. De Stefano per procedere alla comparazione.

La relazione di Linarello arriva il 9 dicembre 2016 ed evidenzia che il profilo genetico rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi (in particolare quello rinvenuto sotto il mignolo della mano destra, quello mai analizzato dai Ris nel 2007) era da ritenersi di un profilo unico: “Il profilo del cromosoma Y parziale ottenuto dal 5° dito della mano destra di cui sopra è stato poi inserito in un apposito database internazionale di profili dell’Y consultabile online [...] tale database, contenente 126.409 aplotipi riferiti a circa 239 differenti popolazioni, di cui 3.276 sono appartenenti alla popolazione italiana, ha consentito di verificare che non vi sono match presenti, pertanto è da considerarsi unico”. In parole povere, il dna estratto nel 2014 e confrontato nel 2016 con quello di Sempio, secondo la perizia di Linarello, è lo stesso.

Pochi giorni dopo, il 20 dicembre 2016, la madre di Stasi, Elisabetta Ligabò, presenta un esposto alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Milano. Per Andrea Sempio è l’inizio di un incubo a occhi aperti.

Le indagini su Sempio

Per competenza, le indagini su Andrea Sempio, iscritto nel registro degli indagati il 23 dicembre, vengono svolte dalla Procura di Pavia. Nel febbraio del 2017 la macchina della giustizia si rimette in moto e il Gip Fabio Lambertucci dispone l’avvio di intercettazioni telefoniche e ambientali per monitorare le attività di Sempio, sul quale indagano il sostituto procuratore Giulia Pezzino e il procuratore aggiunto Mario Venditti. Andrea Sempio viene interrogato il 10 febbraio. Gli inquirenti si concentrano sulla natura di quelle telefonate a casa Poggi e sulle ragioni che hanno portato a conservare in modo così attento lo scontrino di un parcheggio.

Sempio affronta tutto con apparente calma e sicurezza. Si ha quasi l’impressione che abbia avuto modo di prepararsi preventivamente e, in effetti, anche a leggere le intercettazioni in cui parla con i genitori e con i suoi avvocati, pare di capire che l’indagato sia a conoscenza della natura delle indagini a suo carico.

Nel frattempo, l’avvocato della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni, sembra infastidito dalla possibilità che emergano nuove e inaspettate verità su un caso che ormai sembrava chiuso, e per questo già a fine dicembre aveva inviato due memorie rivolte agli inquirenti, in cui sottolineava con forza l’inutilità delle nuove indagini, considerando il fatto che quel dna su cui riponevano le loro speranze i legali di Stasi era stato considerato degradato già nel 2014 e che, tra le altre cose, si trattava quasi sicuramente di un dna oggetto di “trasferimento secondario e terziario”. Cosa significa? Significa che secondo Tizzoni, che riprende quanto già suggerito da De Stefano, quel dna che la perizia di Linarello individua come quello di Andrea Sempio può essere finito sotto le unghie di Chiara perché il ragazzo, in quanto amico di Marco Poggi, avrebbe più volte utilizzato il computer della famiglia. Lo stesso computer utilizzato anche da Chiara. Il suo dna, quindi, potrebbe essere rimasto incastrato tra i tasti e – da qui – essere finito sotto le unghie della vittima.

Certo, se fosse questa la ragione, il fatto che la maggior parte del dna sia stato rinvenuto da Linarello sotto il mignolo della mano destra cosa significa? Che Chiara scriveva al computer utilizzando anche i mignoli? Decisamente curioso.

Ad ogni modo, le indagini non prendono il volo. Alla fine passa il concetto che quel dna è degradato. Lo ripete a sit anche De Stefano, nonostante proprio lui l’avesse utilizzato per confrontarlo con quello di Stasi. Come a dire: quando serviva, era buono. Dopo era degradato.

Certo, come minimo ci si sarebbe aspettati una perizia tecnica disposta dalla Procura. E invece no. Basta la parola del perito del 2014. Gli inquirenti non ritengono utile approfondire la questione e il 17 marzo 2017 arriva la richiesta di archiviazione per Sempio.

La procura di Pavia demolisce le indagini difensive

Il Gip Lambertucci condivide in pieno le considerazioni dei pm Pezzino e Venditti e definisce l’iniziativa giudiziaria intrapresa “al limite della giuridica ammissibilità, pur mantenendosi all’interno di detto limite”. Nella richiesta si legge anche: “in pratica, la odierna denunciante, conscia di non possedere gli elementi necessari a domandare la revisione del processo a carico del figlio, ha offerto, confidando sul principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale, qualche parziale ed incompleto elemento al titolare delle indagini, in modo che quest’ultimo provvedesse ad attivarsi esplorando la serietà e consistenza degli elementi offerti e ne trovasse – auspicabilmente – di ulteriori [...] È sempre possibile mettere in discussione l’accertamento di un fatto irrevocabilmente accertato qualora si riesca a dimostrare che quel fatto è stato commesso da altri”.

Un giudizio duro, una vera lavata di capo per i legali di Stasi e per il genetista Linarello, disegnato in questa richiesta di archiviazione quasi come un principiante in malafede: “Il giudicante concorda con il pubblico ministero nel considerare come radicalmente priva di attendibilità la consulenza tecnica sul materiale genetico offerta oggi dalla difesa di Stasi [...] la consulenza di Linarello è viziata ab origine già nella formulazione del quesito laddove pretende di confrontare i risultati di oggi con quelli ottenuti dalla perizia di De Stefano”.

Una pretesa davvero assurda. I pm affondano ancora di più la lama: “rileggendo criticamente l’elaborato allegato all’esposto, la conclusione che pare di poter trarre è che non vi è alcuna corrispondenza tra il materiale genetico rinvenuto sui reperti ungueali di Chiara Poggi ed il dna di Sempio, anche se si ribadisce che il materiale genetico estratto dai reperti ungueali della vittima NON È IDONEO AD EFFETTUARE NESSUN CONFRONTO [maiuscolo nell’originale, ndr], poiché i risultati emersi dalle tre estrazioni di dna nelle tre prove effettuate dal perito sono divergenti ed incostanti, quindi del tutto inaffidabili” Ciò equivale a dire che la consulenza di Linarello è assai suggestiva ma totalmente priva di valore scientifico. [...] tracce del dna di Sempio ben potevano posizionarsi sulle unghie di Chiara Poggi in via mediata per il fatto che entrambi usavano un computer fisso in casa Poggi che il fratello di Chiara e i suoi amici utilizzavano spesso per seguire videogiochi comandati da tastiera”. L’epilogo è scontato. Il 23 marzo arriva l’archiviazione.

Gli ultimi strascichi, poi il sipario

Andrea Sempio esce fuori dai radar. Anche sul fronte mediatico l’atteggiamento nei suoi confronti è stato diametralmente opposto: se il programma Le Iene l’ha torchiato, accostandolo alle cugine di Chiara Poggi, in particolare a Stefania Cappa, il programma condotto da Gianluigi Nuzzi, Quarto Grado, sin dalla prima ora su posizioni colpevoliste nei confronti di Stasi, lo difende e, arrivata l’archiviazione, quasi esulta.

I legali di Stasi, il genetista Linarello e la società di investigazioni finiscono indagati per violazione della privacy, falso e calunnia. Se tanto rilievo viene dato alla notizia, quasi nessuno sa che poco dopo si arriva all’archiviazione per l’assoluta infondatezza della notizia di reato. Ma tant’è.

Un ultimo colpo di coda si registra il 23 giugno 2020, quando in Procura a Pavia arriva un ulteriore documento: uno dei legali di Alberto Stasi si rivolge al pm Mario Venditti per tentare di riaprire il procedimento a carico di Sempio. Il motivo? Bisogna tornare al 2018, un anno dopo l’archiviazione. I carabinieri di Milano, infatti, accertano una circostanza inquietante: uno dei legali di Stasi, Giada Bocellari, subisce per un certo periodo dopo l’archiviazione di Sempio una serie di pedinamenti, molestie telefoniche e una sorta di persecuzione apparentemente immotivata. Indagando sulla ragione di questi episodi, i carabinieri si convincono che il motivo vada ricercato nell’attività difensiva svolta dall’avvocato. Per questa ragione, cominciano a studiare il caso. Particolarmente significativa la conclusione di una nota informativa redatta il 19 luglio del 2018: “[...] per comprendere meglio i fatti ed il terreno sul quale si indagava, si è proceduto a una rilettura dell’intero fascicolo concernente l’omicidio di Chiara Poggi, riscontrando elementi che potrebbero non mettere fine alla vicenda giudiziaria”.

A questo punto il pm si vede costretto a chiedere delucidazioni ai carabinieri di Milano che, il 9 luglio del 2020, inviano una nota informativa risalente al 7 febbraio dello stesso anno, in cui spiegano le ragioni e il risultato delle indagini svolte. Nella sostanza, i carabinieri dicono di aver riscontrato nelle precedenti indagini sull’omicidio di Chiara Poggi una serie di anomalie elencate in 6 punti. Tra questi sei, gli ultimi due riguardano Andrea Sempio e, nello specifico, le famose tre telefonate a casa Poggi e la questione dello scontrino.

Sulle telefonate, i carabinieri si pongono una domanda interessante: “è evidente che, con l’interrogatorio del 10 febbraio 2017, Sempio Andrea conferma di sapere dove si trovasse Poggi Marco il 7 e l’8 agosto 2007. Infatti, precisa che in quelle date aveva più volte provato a chiamare invano l’amico poiché “sapeva che nella zona dove andavano c’era poca copertura” Sicché la domanda nasce spontanea: perché Andrea Sempio chiama casa Poggi il 7 e l’8 agosto 2007 quando già è consapevole che non troverà Poggi Marco, sapendo che è in vacanza in Trentino?”

E ancora: “da sottolineare come in circa sette [in realtà otto, da gennaio 2007 ad agosto 2007, ndr] mesi (periodo rilevato dai tabulati telefonici) non è stato mai registrato un errore di chiamata da parte di Andrea Sempio, oltre a quello dallo stesso dichiarato e riferito al 7 agosto 2007 (quando stranamente Poggi Marco era in vacanza e la sorella Chiara era rimasta da sola a Garlasco) [...] La telefonata delle ore 1.05 del 4 agosto 2007 indica che Sempio e Marco Poggi erano insieme e che quella è la telefonata fatta per preavvisare i genitori di Marco dell’imminente rientro a casa. Ciò rende ancor più inverosimile che Sempio non fosse a conoscenza della prossima partenza dell’amico per il Trentino, con il quale era in compagnia la sera precedente alla partenza e con il quale era in corso l’organizzazione di un’ulteriore vacanza a Punta Ala (cfr. dichiarazioni Capra). [...] Andrea Sempio, in otto mesi, non ha mai chiamato l’abitazione dei Poggi se non tra il 7 e l’8 agosto”.

Il pm, tuttavia, bolla come grossolano anche il lavoro svolto dai carabinieri, segnalando che “l’annotazione del Comando provinciale di Milano riprende alcuni elementi già emersi nei diversi gradi dei procedimenti che hanno portato da un lato alla condanna di Stasi e dall’altro all’archiviazione di Sempio”. Insomma, niente di nuovo. Non bastava l’incompetenza del perito Linarello, adesso ci si mette anche quella dei carabinieri, ossessionati da un caso che – per quanto siano in tanti a non farsene una ragione – è da ritenersi chiuso.

Concludiamo con una considerazione. Tralasciando quest’ultimo interessamento dei carabinieri di Milano, tralasciando tutti gli altri elementi sottolineati prima dalla Skp e, in un secondo momento, nuovamente dai carabinieri, proprio non ci torna la questione del dna degradato. Delle due l’una: o Linarello è un principiante allo sbaraglio (e questo appare leggendo la richiesta di archiviazione) e allora si è meritato di finire indagato [ma poi archiviato, ndr], oppure qualcosa non torna nella perizia svolta nel 2014. Ripetiamo: in quell’anno viene estratto con un metodo allora all’avanguardia del dna maschile dalle unghie di Chiara Poggi. Quel dna è buono per fare il confronto con quello di Alberto Stasi. Al momento in cui i due dna risultano diversi, il primo – quello estratto dalle unghie della vittima – viene considerato degradato e inutilizzabile. L’impressione finale è quella di trovarsi di fronte alla favola della volpe e l’uva. Ma forse è solo un’impressione...

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Parte 1: Delitto di Garlasco, cosa non torna
Parte 2: 23 minuti per un omicidio
Parte 3: Così Stasi è diventato il mostro perfetto
Parte 4: Le piste dimenticate dagli investigatori
Parte 5: Il sangue sacco e le impronte di scarpe: la verità su Stasi
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