Il delitto di Garlasco

Il sangue secco e le impronte di scarpe: la verità su Stasi

La maggior parte delle persone che ancora oggi additano Alberto Stasi come assassino di Chiara Poggi risiede nel fatto che sotto le sue scarpe non c'era sangue, che le sue impronte non erano sul pavimento e che quindi il suo racconto sul ritrovamento del corpo è falso. Ma è davvero così?

Il sangue secco e le impronte di scarpe: la verità su Stasi
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Partiamo dalla fine. Se di fine si può parlare affrontando il caso del delitto di Garlasco. Abbiamo già parlato dei sette indizi che hanno inchiodato Alberto Stasi alle sue responsabilità. Sette indizi che gli hanno fruttato 16 anni di carcere, che attualmente sta scontando della casa di reclusione di Bollate. Tra questi sette, ce n’è uno in particolare che ha riscosso la nostra attenzione e che è determinante nell’attribuire a Stasi la responsabilità omicidiaria.

Nella loro sentenza, i giudici di Cassazione scrivono che Alberto Stasi ha reso un racconto incongruo, illogico e falso quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata: “Stasi non ha detto la verità sul ritrovamento del corpo di Chiara Poggi. Il suo racconto è quello dell’aggressore, non dello scopritore”. Per quale motivo i giudici sono giunti a questa conclusione?

Principalmente per un fatto, ampiamente dibattuto anche in sede mediatica, ma sempre e solo in una direzione, senza mai – come sarebbe stato doveroso fare e come stiamo cercando di fare noi per la prima volta – mettere in fila i vari tasselli della vicenda, analizzandoli acriticamente tutti insieme.

L’assunto su cui si basa il n°2 dei sette indizi è che sulla scena del crimine non ci sono tracce del passaggio di Stasi, nello specifico, non ci sono tracce delle scarpe di marca Lacoste che indossava quando ha sostenuto di essere entrato in casa Poggi e aver scoperto il cadavere di Chiara, alle 13.45 del 13 agosto 2007. E questo nonostante abbia certamente visto la scena del crimine, riuscendo a descrivere esattamente subito ai carabinieri della stazione di Garlasco e poi al Pubblico ministero la posizione del corpo di Chiara in fondo alle scale.

Se poi aggiungiamo che sotto le suole di quelle scarpe – sequestrate dopo 19 ore dalla scoperta del cadavere di Chiara - non furono rinvenute tracce di sangue (così come queste tracce sono assenti sui tappetini dell’automobile, che viene sequestrata dopo una settimana di utilizzo, ndr), la conclusione più naturale a cui giungere – e alla quale è giunta la Cassazione – è che Stasi non è mai entrato in casa Poggi alle 13.45 in veste di scopritore del corpo di Chiara, ma precedentemente e in veste di assassino. Ovviamente con un paio di scarpe differenti, precisamente con delle Frau n°42 e con la suola a pallini, la stessa suola che – questa sì – ha lasciato tracce piuttosto evidenti, almeno fino al passaggio dei carabinieri. Ci arriviamo.

L'arrivo del Ris di Parma a Garlasco

Ma come dicevamo, partiamo dalla fine. Quando i carabinieri del Ris di Parma, allora guidato dal colonnello Luciano Garofano, il 5 settembre 2007 – 23 giorni dopo il delitto - cercano le impronte latenti (non visibili, ndr) delle scarpe Lacoste di Stasi sulla scena del crimine per verificare la veridicità del suo racconto riguardo il ritrovamento del cadavere, non le trovano. Né le vedono a occhio nudo.

La conclusione immediata che viene declamata urbi et orbi dai media sovraeccitati è: le impronte delle scarpe Lacoste di Stasi sul pavimento non ci sono. Stasi ha mentito. Questo nonostante una serie di elementi non proprio secondari e nonostante la domanda da farsi – quella corretta - sarebbe stata un’altra: le impronte delle scarpe Lacoste indossate da Alberto Stasi al momento del ritrovamento del corpo di Chiara non ci sono mai state o non si vedono più quando vengono cercate 23 giorni dopo il delitto?

Cerchiamo di rispondere a questo primo quesito. E facciamolo con il supporto di foto recuperate dagli atti.

Foto 1

Questa foto è stata scattata dai carabinieri il giorno del delitto – 13 agosto 2007 – alle ore 15.17. In corrispondenza del passaggio tra le piastrelle e il marmo delle scale che scendono in cantina è ben visibile l’impronta di una suola a pallini. Si tratta di un’impronta dell’assassino.

Foto 2

Come detto, a un certo punto della vicenda intervengono i carabinieri del Ris di Parma, che il 5 settembre entrano sulla scena del crimine e alle 15.05 fotografano, da un’angolazione differente, lo stesso identico punto. Nonostante la luce piena, si noterà non solo la scomparsa dell’impronta a pallini, ma anche di gran parte del sangue presente nella foto precedente.

Foto 3

Circa un minuto più tardi, dopo aver spruzzato il Luminol (un agente reattivo che, in presenza di sangue e al buio emette un colore azzurrognolo, ndr), i carabinieri del Ris scattano quest’altra foto che decreta la colpevolezza di Stasi. Le impronte latenti della Lacoste, infatti, non sono presenti. E quella ben visibile della scarpa con la suola a pallini? A voler essere onesti, nemmeno quella sembra più presente. Cosa è successo, allora? Eppure quell’impronta c’era, il 13 agosto.

Delitto di Garlasco, come è cambiata la scena del crimine

La soluzione all’enigma sta proprio in quei 23 giorni trascorsi tra il primo e il secondo scatto. Cos’è accaduto all’interno della scena del crimine? La risposta è: di tutto. Sin dal 13 agosto in casa Poggi c’è stato un via vai di persone – ovviamente tutte titolate per essere lì, sia chiaro – che ha compromesso l’integrità della scena del crimine. Vediamo nel dettaglio.

Il giorno stesso dell’omicidio, a entrare in casa per effettuare rilievi fotografici, sono i carabinieri di Garlasco, i carabinieri Radiomobile di Vigevano, i carabinieri del Ro.No (Reparto operativo Nucleo operativo, ndr) di Pavia. Sempre il 13 agosto, in casa entrano il medico legale Ballardini e gli addetti delle pompe funebri per la rimozione del cadavere.

Il 14 agosto è nuovamente il turno dei carabinieri del Ro.No per scattare altre fotografie; il 16 agosto fanno il loro esordio sulla scena i carabinieri del Ris di Parma per effettuare fotografie e rilevare le impronte digitali (utilizzando sistemi di fumigazione con estere di cianoacrilato; polvere evidenziatrice di alluminio; ninidrina spray; nerofumo ndr); la stessa cosa fanno il giorno seguente, 17 agosto, e poi ancora il 20 e il 27 agosto.

Il 5 settembre, poi, i carabinieri del Ris utilizzano il Luminol per cercare le impronte latenti delle scarpe Lacoste di Alberto Stasi. Perché solo a questo punto? Perché non l’hanno fatto prima? La risposta va ricercata nella convinzione della pm Rosa Muscio (una convinzione rimasta tale solo fino al 2009, quando viene scoperto l’alibi di Stasi per la mattina del 13, ndr) che il delitto fosse avvenuto poco prima del ritrovamento del cadavere.

Secondo lei, infatti, Stasi sarebbe andato dai carabinieri di Garlasco appena una mezzora dopo l’omicidio, dopo essersi accuratamente lavato e dopo essersi liberato dell’arma del delitto. Sulla base di questo ragionamento, il sangue in casa Poggi doveva essere ancora fresco mentre lui si muoveva all’interno e si adoperava per occultare il corpo della fidanzata. Il fatto quindi che non ci fossero tracce di sangue sotto la suola delle scarpe evidenziava la sua menzogna. Peccato che, come risulta dalle fotografie scattate in prima battuta sulla scena del crimine, come testimoniato da diverse persone e come ampiamente riscontrabile da diversi atti dei processi, il sangue alle 13.45 fosse già parzialmente secco, a eccezione di alcune pozze. Un dettaglio non da poco che però sfugge al pm, probabilmente ottenebrata nella sua capacità di analisi dalla granitica convinzione di cui sopra, a cui si aggiunge il fatto che sotto la suola delle scarpe Lacoste di Alberto Stasi non c’è traccia di sangue.

Peccato che siano gli stessi carabinieri del Ris a sostenere che, in presenza di sangue secco o parzialmente tale, già dopo 29 passi le tracce spariscono dalla suola delle scarpe. Esattamente quello che viene affermato in una perizia del 2009 a firma dei periti Fabrizio Bison, Carlo Robino e Lorenzo Varetto. Dopo 29 passi le tracce ematiche si perdono, sia se è stato calpestato sangue fresco, sia – a maggior ragione – se è stato calpestato sangue coagulato o parzialmente secco.

Considerando poi il fatto che le Lacoste di Stasi vennero sequestrate solo la mattina del 14 agosto, dopo un numero di passi decisamente maggiore, è evidente che non potessero esserci tracce di sangue. Ma questo, nell’ottica distorta da un convincimento errato del pm, non poteva essere sufficiente per confermare la sua versione sul ritrovamento.

D’accordo, sotto le scarpe poteva non esserci traccia di sangue. Ma sul pavimento? Anche se non visibili, nel momento in cui Stasi avesse camminato su un tappeto di sangue fresco dovevano esserci delle tracce latenti. Ecco perché i carabinieri del Ris le cercano dopo tutto quel tempo: la necessità di fare questa verifica, evidentemente, arriva in un secondo momento, quando le possibilità di inchiodare Stasi alle sue responsabilità iniziavano a scarseggiare.

Fermo restando che non avrebbero comunque potuto trovare nulla, proprio perché il sangue era ormai secco al momento in cui Stasi entra in casa, se anche il ragazzo avesse mentito e fosse stato lui l’assassino, trovare le sue impronte latenti sarebbe stato impossibile. A 23 giorni dall’omicidio l’utilizzo del Luminol sembra più un vezzo cinematografico che una reale necessità d’indagine. Come sarebbe stato possibile – dopo che sulla scena sono transitate decine e decine di persone, dopo avere utilizzato tutta una serie di prodotti, come il nerofumo, che spargendosi sul pavimento ha inevitabilmente compromesso la ricerca di impronte latenti – rilevare qualcosa?

Le foto (non utilizzabili) e il racconto di Alberto Stasi

Aggiungiamo altri due elementi che ci sembrano importanti e degni di riflessione. Il primo: gran parte delle foto effettuate dai carabinieri del Ris di Parma alle impronte dell’assassino presenti sulla scena del crimine non sono utilizzabili, in quanto non ortogonali, cioè scattate dall’alto e in verticale, rendendo praticamente impossibile effettuare corrette misure dimensionali delle stesse impronte: la ricostruzione del numero di scarpe indossate dall’assassino è infatti fatta su di una sola impronta.

Il secondo: Alberto Stasi, una volta arrivato alla stazione dei carabinieri di Garlasco e nelle ore successive, descrive correttamente la posizione del corpo di Chiara in fondo alle scale. Quindi che lui sia entrato in casa è fuori discussione. Resta la domanda – già fatta, ma che ripetiamo – se sia entrato da scopritore o da aggressore. Ebbene, com’è stato accertato oltre ogni possibile dubbio, l’assassino non ha trascinato il corpo di Chiara giù fino in fondo alle scale, ma l’ha lasciato sui primi gradini prima di andarsene.

A quel punto, il corpo – un po’ per la gravità, un po’ per degli spasmi che potrebbero aver scosso il corpo della povera Chiara poco prima della morte – è scivolato lungo le ripide scale. Per farlo, può aver impiegato una manciata di minuti, così come qualche decina di minuti. Non lo sappiamo. Sappiamo però che se veramente Stasi è l’assassino, per aver potuto descrivere quella scena sarebbe dovuto rimanere fermo ad attendere che il corpo scivolasse fino a fermarsi quasi sul fondo della scala. Questo tempo di macabra attesa, deve essere inserito all’interno di quell’orario indicato come l’orario della morte di Chiara, quei 23 minuti che combaciano incredibilmente con il lasso di tempo in cui Alberto Stasi non ha un alibi confermato: 9.12 – 9.35. Questo ridurrebbe di molto il tempo a disposizione per inforcare la bicicletta, tornare a casa, accendere il pc. Dettagli.

Ma c’è di più: se Stasi avesse descritto la posizione del corpo di Chiara per averla vista dopo averla uccisa, avrebbe dovuto scendere almeno uno o due gradini. La scala che porta alla taverna di casa Poggi, infatti, è a collo d’oca e dalla cima è impossibile vedere il fondo, laddove il cadavere giaceva. Ma che l’assassino non sia sceso e sia rimasto al principio delle scale è un dato certo, poiché prima che la scena del crimine venisse irrimediabilmente compromessa, le sue tracce (l’impronta della suola a pallini di una scarpa Frau n°42, ndr) erano ben visibili e si fermavano proprio dove potete osservare risalendo alla prima foto. Altre impronte sui gradini non ce ne sono.

Ma ora cerchiamo di riavvolgere il nastro e ripercorrere gli aspetti più importanti di questo approfondimento. Vi chiediamo un ultimo sforzo, ce ne rendiamo conto, ma è importante capire bene ogni singolo passaggio, perché la questione del sangue – ovvero l’evidenza indiziaria n°2 di 7 che hanno condannato Stasi – è quella che più di tutte, lo ripetiamo, nella sentenza della Cassazione attribuisce ad Alberto la responsabilità omicidiaria.

Sul pavimento di casa Poggi sono presenti, al momento del ritrovamento del cadavere, estese zone imbrattate di sangue. Sangue che forma gocce più o meno grandi, fino a vere e proprie pozze. Gran parte di questo sangue è secco o parzialmente secco.

Sul pavimento sono ben visibili, nelle fotografie scattate nell’immediatezza, impronte a pallini anch’esse già parzialmente secche. Queste impronte sono state lasciate da suole di scarpa Frau (mod. 27) e sono attribuite all’aggressore di Chiara al momento dell’omicidio.

Una di queste impronte, l’unica utilizzabile, misura 27,3 cm e corrisponde, per le Frau, alla taglia 42. Oltre al fatto che Alberto non possedeva scarpe Frau con suola a pallini (alcuni si chiederanno: e le scarpe indossate a Londra? Abbiamo risposta anche per questo quesito, ma non in questa sede, ndr), quello della misura può considerarsi un fatto certo, replicabile e dimostrabile? Oppure è un’affermazione priva di riscontro oggettivo? Se si ripete la prova di misurazione si ottiene lo stesso risultato? Questo non viene specificato in nessuno degli atti consultati, ma prove effettuate da noi dimostrano – e siamo pronti a ripeterlo di fronte a chi ne fosse interessato – che la lunghezza di un’impronta può variare sulla base di diversi fattori, come il peso corporeo, l’inclinazione del piede, la velocità della camminata etc.

È stato poi ribadito che la probabilità che Stasi, nel riferire del ritrovamento di Chiara alle 13.45, abbia evitato di calpestare tutte le macchie di sangue sul pavimento è nulla. Assolutamente corretto.

Alberto, quindi, avrebbe dovuto calpestare il sangue nella casa lungo il tragitto che lui stesso riferisce agli inquirenti ma:

  1. Sotto le suole delle scarpe Lacoste (suole a lisca e non a pallini) che Stasi indossa al momento del ritrovamento non c’è sangue.
  2. Sul pavimento di casa Poggi non ci sono impronte di scarpe Lacoste.
  3. Sui tappetini della Golf usata da Stasi per recarsi dai carabinieri dopo il ritrovamento di Chiara non c’è sangue.

Ora rispondiamo a questi 3 punti:

  1. Dopo pochi passi le tracce di sangue – come è accertato dai periti del giudice – svaniscono dopo pochi passi e le scarpe di Alberto vengono sequestrate il giorno dopo l’omicidio.
  2. L’accertamento sulla presenza di impronte latenti viene fatto il 5 settembre dai carabinieri del Ris, quando sono già stati fatti 12 sopralluoghi e sul pavimento non è più visibile nulla, nemmeno le impronte a pallini. Ma comunque, l’abbiamo spiegato, il sangue era secco e le impronte delle scarpe Lacoste non sarebbero comunque state trovate.
  3. I tappetini vengono sottoposti al Luminol dopo una settimana dall’omicidio, ma di questo primo accertamento non esistono foto senza evidenza di lumiscenza al Luminol.

Arrivati a conclusione, restano certamente molti dubbi. Non tanto sul fatto che Stasi abbia o no calpestato il sangue, quanto piuttosto sul modo in cui sono state condotte le indagini, sul modo in cui sono state diffuse le informazioni, sul modo – del tutto umano e comprensibile – di accontentarsi spesso, troppo spesso, delle soluzioni più comode. La domanda con cui chiudiamo stavolta, non è la solita (ovvero: siamo davvero certi che l’assassino di Chiara Poggi sia Alberto Stasi?), ma un'altra e, se possibile, più inquietante.

Alla luce di tutto quanto appena riportato, com'è stato possibile che la Cassazione abbia considerato quella del sangue una delle sette evidenze indiziarie gravi, precise e concordanti?

Leggi anche:

Parte 1: Delitto di Garlasco, cosa non torna
Parte 2: 23 minuti per un omicidio
Parte 3: Così Stasi è diventato il mostro perfetto
Parte 4: Le piste dimenticate dagli investigatori

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